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il commento

La paura dell'inflazione cambierà la Bce? Girotondo a due voci

Mariarosaria Marchesano

Le parole di Tommaso Monacelli, economista dell’Università Bocconi, e di Francesco Saraceno, professore di macroeconomia europea a SciencesPo Parigi e alla Luiss

Dev’essere alta la preoccupazione per l’inflazione alla Bce se, dopo la pessima giornata di martedì sulle Borse europee, più membri del consiglio direttivo si sono affrettati a dire che la situazione è sotto controllo. “L’inflazione nell’Eurozona tornerà sotto la soglia del 2 per cento entro un anno”, ha assicurato il governatore della banca di Francia, François Villeroy de Galhau, seguito dalla tedesca Isabel Schnabel, che ha paragonato l’attuale picco a “uno starnuto”. 

Succede che, come sintetizzano alcuni analisti finanziari, l’aumento dei prezzi dell’energia, con velocità inaspettata, sta gettando “il seme del dubbio” nella fiducia degli investitori preoccupati che la fiammata dei prezzi possa indurre una modifica della politica monetaria in senso più restrittivo. E questo perché esiste il dubbio che da fenomeno transitorio l’inflazione possa diventare permanente. “Porre la questione in questi termini è fuorviante – dice al Foglio l’economista dell’Università Bocconi, Tommaso Monacelli – Sono le banche centrali, in realtà, che dovrebbero orientare le aspettative di inflazione. Quello a cui stiamo assistendo, cioè l’incremento, oltre l’immaginabile, del prezzo di alcune materie prime, è uno choc esogeno come fu con il petrolio negli anni Settanta. Ne scaturì un periodo di inflazione che divenne alta e persistente a causa di alcuni errori fatti proprio dagli istituti centrali, che peccarono di un eccesso di attivismo. Da allora sono passati quasi cinquant’anni e le politiche monetarie si sono evolute proprio grazie a quella esperienza. Oggi la Bce, ma lo stesso vale per la Fed americana, ha tutti gli strumenti per evitare che si ripeta uno scenario analogo”.

 

Ma quanto è concreto il rischio di stagflazione, cioè di crescita stagnante a fronte di un aumento dei prezzi? “Non è un rischio – replica Monacelli – sta già succedendo, siamo già in stagflazione. L’economia mondiale sta uscendo nello stesso momento da una grave crisi pandemica e in questi casi, la storia insegna, può accadere che si creino delle strozzature nelle catene di approvvigionamento a causa di un eccesso di domanda”. Quello che ne consegue, come si è visto nelle ultime settimane, è un’impennata dei prezzi scollegata dalla crescita economica che si sta riprendendo ma non è ancora tornata a livelli pre Covid. “La permanenza di questo fenomeno dipenderà da come le banche centrali orienteranno le aspettative, se al ribasso o al rialzo, e io, in un caso come quello attuale, troverei assolutamente normale se fosse disegnato un sentiero di medio-lungo termine in cui la politica monetaria diventasse un po’ più restrittiva”. 

Il tema appassiona gli economisti e non li trova tutti concordi. Francesco Saraceno, professore di macroeconomia europea a SciencesPo Parigi e alla Luiss, è convinto che “ci troviamo nella classica situazione in cui la politica monetaria potrebbe uccidere la crescita senza aver risolto il problema dell’inflazione provocando così un effetto a catena”, dice al Foglio. Una delle cose su cui bisognerebbe ragionare, secondo lui, e che se esistono delle strozzature sulle catene mondiali del valore non è con le politiche monetarie che andrebbero combattute, ma con politiche industriali. “Quanto il Covid ha cambiato il funzionamento della nostra economia? C’è qualcosa che possiamo fare per rimuovere i colli di bottiglia che, per esempio, ostacolano l’approvvigionamento energetico? Ecco, queste sono le questioni che dovremmo porci”.

 

Saraceno trova corretto che le banche centrali di Eurozona e Stati Uniti mantengano un approccio accomodante fino a quando convergeranno su un’inflazione di carattere transitorio. “Anche perché – osserva – i fattori che negli ultimi 10-15 anni hanno portato a una tendenza deflattiva sono ancora tutti lì. Mi spiego meglio: la parentesi Covid non ha cambiato il quadro di fondo e cioè che l’economia mondiale non genera abbastanza domanda per assorbire tutta la produzione. Dunque, in molti casi si consuma meno di quanto si potrebbe, il risparmio è eccessivo, o gli investimenti sono troppo pochi, a seconda del punto di vista, e così si genera deflazione. A mio parere, fino a quando non si innesca una spirale perversa prezzi-salari, è fondamentale che la politica monetaria resti espansiva. Anche se bisogna superare un equivoco di fondo: se in futuro dovesse essere un po’ meno espansiva di oggi non vuol dire che sarà restrittiva”.

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