È un tabù, ma la crisi energetica c'entra con la transizione verde

Chicco Testa

Se la transizione non si accompagna alla crescita economica, si rischia doppio: da un lato l’assenza del necessario consenso sociale alla transizione ecologica, dall'altro la mancanza di risorse economiche e finanziarie per sostenerla

Pil e transizione verde. È bastata l’impennata dei prezzi dell’energia, di tutti i combustibili fossili, carbone, petrolio e gas, per metterne in crisi molti presupposti validi fino al giorno prima. Di per sé l’aumento del prezzo delle fonti tradizionali di energia primaria dovrebbe essere, secondo alcune azzardate teorie, un segnale positivo. E’ il risultato di una scarsità desiderata (mai più investimenti nei fossili!) e dovrebbe favorire fonti alternative. Una situazione teoricamente perfetta. Solo che… Nel mondo si consumano ogni giorno più o meno 100 milioni di barili di petrolio, 15 milioni di tonnellate di carbone, 11 miliardi di metri cubi di gas. Numeri enormi che producono le calorie che nutrono la vita economica e sociale di più di 7 miliardi di persone. E che ancora non sono sufficienti in molte parti del mondo. Pensare di sostituirle o far credere che questo sia possibile in un tempo breve vuol dire mancare completamente di senso della realtà. Con un aggravante: la crisi odierna, al contrario di altre situazioni storiche, è anche una crisi di scarsità, dovuta alla caduta verticale degli investimenti in nuovi giacimenti negli anni scorsi. E a una ripresa economica che, sempre al contrario di altre epoche storiche, vede la domanda impennarsi in tutto il mondo, a cominciare dalla Cina, che è divenuta nel frattempo un temibile concorrente sul mercato dell’approvvigionamento di tutti i combustibili, compreso il metano. Anche la Cina vuole decarbonizzare la sua economia e ripulire l’aria delle sue città. Situazione quindi molto più difficile da superare in tempi brevi. 


Le conseguenze sono disastrose, particolarmente per aree del mondo, l’Europa in primo luogo, che dipendono fortemente dalle importazioni energetiche. E l’Italia prima fra tutte. Riparte l’inflazione nel mondo e con essa il rischio di una stretta monetaria quando meno ce ne sarebbe bisogno, l’euro perde terreno nei confronti del dollaro che fa i prezzi dell’energia e industrie fondamentali per la crescita economica soccombono o vengono messe fuori mercato dall’impennata del costo dell’energia. E pensare che fino a ieri si puntava in Italia a eliminare i cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi”, cioè a gravare con ulteriori tasse su alcuni consumi energetici. Oggi si corre a fare esattamente il contrario, sperando di ridurre così la spesa per famiglie e imprese. 


Un altro aspetto lunare di questa discussione fuori dalla realtà è rappresentato dal dibattito in corso in sede europea sulla “tassonomia” degli investimenti verdi. Se ne parla poco, ma avrà conseguenze enormi e durature. In pratica l’Europa tramite questo strumento definisce quale tipo di investimenti è compatibile con la transizione verde. E da questa classificazione dipende la possibilità di accedere a finanziamenti pubblici e privati. Fuori naturalmente carbone e petrolio, ma fuori anche il gas, tanto la Germania si è messa al sicuro con North Stream 1 e 2, e fuori secondo alcuni paesi una fonte di energia per la quale non si dipende dall’estero, vale a dire il nucleare, che contribuisce per un terzo del totale dell’elettricità consumata in Europa e per un settimo dell’intera energia consumata in Ue. Come sia possibile uno strabismo di questo genere è onestamente difficile da capire e anche il ministro Cingolani, che pure ha avuto il merito di avere segnalato tutte le difficoltà e i rischi della transizione, deve far finta di credere che le rinnovabili – che non si riescono per altro a fare fino in fondo, visto il fronte contrario comune formato da regioni, sovrintendenze e comitati locali – siano la soluzione di tutti i mali. L’Europa rischia grosso e solo i teorici della decrescita possono gioire di questa situazione. Ma dovremmo avere imparato che se la transizione non si accompagna alla crescita economica, rischiamo due cose: l’assenza del necessario consenso sociale o addirittura come dice Prodi “che prima o poi i cittadini ci corrano dietro con i forconi”, e la mancanza di risorse economiche e finanziarie per sostenere la transizione. Mi sa che parecchie cose dovranno presto cambiare nella narrazione sulla transizione. Prima lo si fa e meglio è.

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