Una vita al volante
I consigli non richiesti di Mister Tir. Tra pandemia, autostrade e gasolio
La vita ardua dell'autista, il Covid che ha colpito duro, i rincari e le strade che sono una ininterrotta gincana, un percorso di guerra. Ah, se i camion potessero parlare
Mi chiamo Mister Tir, o meglio così mi chiamano tutti, ma mi sta bene. Noi siamo come i marinai, c’è l’Olandese, il Portoghese, il Polacco, il Rumeno, lo Zingaro. Molti colleghi se la prendono con quelli dell’est che per quattro soldi fanno qualsiasi cosa, mettendo a rischio la loro vita e quella degli altri. Concorrenza sleale e lavoro da schiavi. Be’ non hanno torto. La paga media di un autista professionale italiano può superare i duemila euro netti al mese, quelli dell’est prendono la metà. La quota delle aziende nazionali è scesa dal 32,7 al 12 per cento, quella delle ditte dell’est è passata dal 7 al 53 per cento. Però in Italia mancano ventimila autisti professionali. Italiani o stranieri, io dico sempre che tutti noi siamo una ciurma di disperati, senza la quale, però, ogni cosa si ferma, guardate cosa succede nella spocchiosa Inghilterra. Dobbiamo farci rispettare, ma siamo più forti se restiamo uniti non se ci facciamo la guerra. Guido il mio camion da 20 anni e non mi sono mai fermato nemmeno durante la pandemia. Il mio camion sì, lo ripeto con orgoglio, l’ho comperato col sudore della fronte. Sì, sono un padroncino, uno di quelli che ogni tanto mettono il mezzo di traverso per protesta, non voglio creare problemi alla gente, solo che è l’unico modo per farsi ascoltare.
Il mio percorso preferito? Parto da Gioia Tauro, passo per Napoli e su a Modena, da qui punto verso il Brennero con una deviazione per Bergamo e poi via fino a Stoccarda. Nella vita ho trasportato di tutto, ma adesso sono specializzato in componenti per l’auto, pezzi di ricambio, batterie, materiali semilavorati. Non sto ad annoiarvi con particolari tecnici, però mi sento come una goccia di sangue che percorre le arterie del paese e lo fa pulsare. Noi bucanieri dell’asfalto portiamo il benessere, anzi la vita. Pochi sanno che Gioia Tauro ha salvato i porti italiani durante la pandemia. Lì arrivano le navi che dall’Estremo Oriente attraversano il canale di Suez. La Cina è il nostro principale paese fornitore: con 20,5 miliardi di euro rappresenta il 21 per cento di tutto l’import via mare italiano. L’ho letto sul giornale che riportava il rapporto di alcuni esperti e ho ritagliato l’articolo.
È importante tenersi sempre aggiornati ancora di più su tutto quello che riguarda il mio lavoro. Ecco qua: “Il mare assorbe il 33 per cento dell’interscambio italiano, mentre il trasporto su strada il 52 per cento del traffico merci. Tra i porti più attivi, ci sono quelli sotto l’Autorità del Mar ligure occidentale (Genova, Savona e Vado Ligure), che hanno visto un calo del 14,5 per cento delle merci movimentate a 57,42 milioni di tonnellate. Mentre gli scali del Mar Adriatico Orientale, con Trieste e Monfalcone, segnano un calo del 13,6 per cento a 57,09 milioni di tonnellate. Il porto di Gioia Tauro, invece, vede salire i container movimentati da 2,5 milioni nel 2019 a 3,19 nel 2020 e le merci crescere, in tonnellate, da 29,76 milioni a 40,28 milioni”. È per questo che vado a Gioia Tauro. Conoscere per lavorare meglio, evito la Liguria sempre intasata ed è inutile mettersi in coda a Monfalcone, c’è tanta concorrenza e poca offerta.
La brutta sorpresa nella mia ultima spedizione è che ho caricato il camion solo a metà. Molti pezzi non sono arrivati dall’estremo oriente, la mancanza di chip ha fatto chiudere molti stabilimenti, la catena s’è interrotta durante la pandemia e non è stata ancora aggiustata. I colleghi che guidano le bisarche (o le cicogne, è più carino) mi dicono che anche loro hanno problemi a riempirle e, siccome non conviene viaggiare semivuoti, debbono aspettare per giorni interi. Alla Adler di Ottaviano che fa le componenti per le vetture, lavorano molto con la Germania, in particolare per la Porsche, e mi hanno confermato le preoccupazioni di tutti i produttori. È una crisi passeggera? Speriamo. Ma io comincio a sospettare. Come per il gasolio. Il rincaro c’è eccome, per l’ultimo pieno ho pagato 1,68 euro al litro, un anno fa era 1,26. Anche qui, dicono che passerà. Se è la ripresa economica a far aumentare la domanda c’è da sperare che non passi e magari a noi camionisti possono fare uno sconto. Già, e chi paga? Sempre Pantalone, cioè lo sconto ce lo caricano sulle tasse.
Il governo ha sospeso gli oneri impropri (di sistema li chiamano), un aiuto, dovrebbero toglierli del tutto, o meglio spostare anche quelli sulle imposte. È una partita di giro, certo, però mi faccio due conti: il gasolio lo pago oggi le tasse tra un anno, intanto ho lavorato e incassato. Ho preso la patente con il nuovo secolo, dopo molti anni sono riuscito a lavorare per conto mio e adesso mi sono comprato un Mercedes Actros ultima generazione alimentato a diesel ecologico, anche grazie agli incentivi per gli Euro 6. Mi è costato un occhio, non vi dico quanto, ma più di centomila euro, a rate, tanto gli interessi sono bassi e comunque ringraziando Dio riesco a far fronte con quello che ho messo da parte negli anni scorsi. Poi è arrivata la pandemia e ho cominciato a sudare freddo, le cose però, sono andate meglio del previsto. Lo riconosco, non sono di quelli che, come dicono al mio paese, piangono il morto e fregano il vivo. Mi definisco un figlio d’arte, mio nonno era tornato dall’Argentina, si era comprato la casa al paesello nelle Marche e subito dopo la guerra trasportava carbone dai monti Sibillini alla costa, su è giù con il caldo e con il freddo e… vacca se fa freddo dalle mie parti. Il camion è il mio strumento di lavoro e anche la mia seconda casa.
Amo viaggiare, se abitavo sulla costa facevo il marinaio. Non soffro nemmeno di dormire in cuccetta (non troppo e non sempre ad essere sincero). La solitudine accompagna noi camionisti e a volte è proprio pesante, ma sulla strada, a differenza dal mare, non si è mai davvero soli, soprattutto se come me hai un buon carattere. Cerco il più possibile vecchie trattorie da camionisti che mi ricordano i racconti del nonno, anche se spesso debbo accontentarmi degli autogrill o del panino nella piazzola di sosta. Dalle parti di Comacchio lungo la strada Romea, c’è un bar da sempre “regno” nostro, appena entrati un cartello avverte: “Qui il wi-fi non funziona, parlate tra di voi”. Un tempo prendevo su gli autostoppisti (non solo le ragazze come raccontano gli spacconi) adesso ce ne sono meno, e forse con l’età sono diventato prudente, anche sospettoso. E rispetto le norme di sicurezza. Le regole prevedono un tetto massimo di 90 ore al volante nell’arco di due settimane, con un limite giornaliero di 10 ore e pause obbligatorie di 45 minuti ogni 4 ore e mezza e un riposo minimo di 24 ore a settimana. Non sempre è possibile, a essere sinceri, quando bisogna fare certe consegne rapide, merci delicate, bisogna tirare a manetta, oltre i limiti di velocità. Per questo mi sono dotato di tutti gli strumenti necessari. La mia cabina è super attrezzata: sul parabrezza i telepass di diversi paesi; il tachigrafo digitale registra ogni spostamento, la velocità e i tempi di guida; il computer di bordo archivia rifornimenti e dati burocratici; c’è persino la strumentazione satellitare che consente di sapere dove sono.
Ascolto sempre la radio al mattino e mando messaggi, anche vocali, per dire la mia, ogni tanto mi chiamano a Radio anch’io, magari avrete sentito la mia voce roca non per le sigarette (ho sempre fumato come un turco e adesso cerco di smettere), ma per gli spifferi, le correnti, gli sbalzi di temperatura, l’aria condizionata. Sempre sia lodata, sia chiaro, non potete immaginare che cos’era prima con il caldo denso, umido, puzzolente che saliva dalle ruote e invadeva la cabina. Comunque tra finestrini e condizionatore la voce s’abbassa. Mi sono vaccinato e ho il green pass, non sono certo di quelli che il Covid non esiste. Anzi l’ho detto subito alla radio che volevo il vaccino per primo, io come tutti i miei colleghi. Siamo a contatto con la gente, almeno quanto e forse più degli avvocati che siedono lì nel loro studio dietro la scrivania a distanza regolamentare. Noi come facciamo a stare distanziati? Le mascherine servono fino a un certo punto a parte il fatto che ti fanno soffocare. Provate a lavorare di braccia e a respirare bene.
È stato un anno orribile, anche se ho continuato ad andare su e giù per le autostrade vuote; certo si guidava meglio, però quell’asfalto quasi deserto faceva impressione, anzi ammetto che mi faceva paura. Da molti mesi, direi dall’inizio dell’anno tutto è ricominciato come prima, anzi di più, e guidare è di nuovo un vero inferno, in fila indiana in prima corsia, sorpassi pericolosi, una lotta continua per trovare gli spazi e la velocità giusta.
Ho sentito al Gr1 che secondo la Federtrasporti, l’associazione confindustriale, a giugno c’è stata una svolta: il traffico dei camion sulle autostrade è cresciuto del 18,8 per cento rispetto all’anno prima e del 2,6 per cento sullo stesso mese del 2019. Ma attenti, se il confronto si fa solo con il 2020 tutto è ripartito a marzo. Per l’Istat la produzione industriale a luglio è oltre il livello raggiunto prima del Covid, era ora. Ricordo che una volta, quando il pil era una sigla misteriosa, mio padre mi parlava dei consumi elettrici, erano quelli a misurare l’economia. Oggi siamo noi autotrasportatori. Io dico che il governo dovrebbe consultarci perché abbiamo davvero il polso della situazione. La ripresa, insomma, c’è. Ma le strade sono una ininterrotta gincana, un percorso di guerra. Mi lamentavo pochi giorni fa con una ragazza, la più giovane camionista d’Italia, una tipa tosta, carina e molto simpatica. Si chiama Silvia, è nata in Trentino e ha una passione per i camion, ha preso la patente e adesso ha rimpiazzato sua padre ammalato, l’ho guardata a bocca aperta muovere con delicatezza quel bestione da dieci metri che pesa una trentina di tonnellate. Mi ha detto che l’automezzo ha fatto un milione di chilometri, non ci ho creduto perché sembrava quasi nuovo. È che ci piace vantarci, proprio come i marinai, no?
La Salerno Reggio Calabria è finalmente una vera autostrada, un po’ a tre e un po’ a due corsie. Ho già percorso due volte i 450 chilometri senza pedaggio e non potete immaginare che sollievo per chi come me ha passato ore e giorni incolonnato tra monti e mare. Però, dopo essere scesi lisci lisci per la Lucania, la Calabria resta un imbuto, il tracciato è quello vecchio. Anche se la situazione è migliorata, insomma, manca sempre qualcosa, per esempio lo svincolo di Villa San Giovanni non era completato, almeno un mese fa quando ci sono passato per l’ultima volta e a quanto ho potuto vedere c’è il rischio che l’intera A2 del Mediterraneo, così si chiama ufficialmente, sia nata già vecchia, insomma ci passano 80 mila veicoli al giorno e molti di più quando arrivano i vacanzieri.
Quest’estate, diceva la radio, il traffico è aumentato del 18 per cento rispetto all’anno scorso che però era stato davvero deprimente. Non voglio stare con quelli che borbottano e protestano sempre, in questo mezzo secolo le cose sono cambiate. E per fortuna dico io. Oggi il sud non è più quello di una volta anche se i meridionali per primi sembra che non lo sappiano. Se esistesse una Repubblica del Mezzogiorno, sarebbe l’ottavo paese manifatturiero d’Europa, l’ho sentito dire alla radio da un economista che lavora per una banca del nord. Le tre più grandi fabbriche italiane per numero di addetti diretti sono tuttora localizzate in Puglia, Basilicata e Abruzzo: il siderurgico di Taranto, la fabbrica di auto della Fca a S. Nicola di Melfi in provincia di Potenza e la Sevel ad Atessa in Val di Sangro (Ch). Due dei cinque distretti aeronautici italiani sono in Campania – con i grandi siti di Pomigliano d’Arco e Nola – e in Puglia. E tutto questo lo posso testimoniare di persona visto che sono miei clienti.
Da Napoli in poi comincia la via crucis. L’autostrada è zeppa anche se fino a Roma con le tre corsie si riesce a mantenere un buon ruolino di marcia, ma dopo Orte è un delirio. L’A1 si restringe e s’ingolfa a mano a mano che ci si avvicina ad Arezzo. A luglio ho impiegato due ore per i 76 chilometri fino a Firenze sud e lì mi sono bloccato di nuovo, lavori ovunque e poi ho trovato che era chiusa anche la variante di valico per Bologna. E ancora code infinite per Modena e Parma. Come ho detto cerco sempre di evitare Genova, finora ci sono riuscito. Altro che sceicchi, altro che cinesi, se non si migliorano le strade si bloccano le fabbriche. Chissà se qualche professorone ha fatto i calcoli su quanto potremmo lavorare di più e meglio. Adesso c’è il grande piano, il Pnrr, arrivano tanti quattrini, decine e decine di miliardi per le infrastrutture, un bel po’ se li pappano le ferrovie, ma va bene anche così, ci tolgono spazio se davvero portano sui binari quel che oggi viaggia sui nostri tir, però oggi noi trasportiamo quasi una merce su due, quanto potrà andare sui treni? E che cosa? E quanto tempo ci vorrà? Insomma, c’è spazio per tutti, si lavorerà meglio, purché si lavori e non arrivino altri inciampi.
Non sono un tipo che si piange addosso, sono uno che si rimbocca le maniche. Ma non ho il prosciutto sugli occhi. Prendete il crollo del ponte Morandi. Ha fatto paura a tutti, d’accordo, però poi è scoppiato il panico, hanno chiuso ponti e viadotti per mesi quando non ce n’era bisogno, hanno concentrato in due anni lavori che dovevano essere fatti da vent’anni, hanno cercato di recuperare il tempo perduto facendo perdere tempo a chi lavora, a noi trasportatori prima di tutti. E parlo quando non c’era la pandemia, poi è arrivato un buco nero. Mi chiedo perché gli operai delle fabbriche (prendiamo l’alimentare), gli addetti alle linee telefoniche, i commessi dei supermercati, insomma tutti questi hanno lavorato e noi stessi camionisti, anche se a ritmo ridotto, ma le manutenzioni stradali no, sono state sospese per riprendere adesso che tutto si è rimesso in moto. Le cose stanno cambiando, ci sono uomini nuovi in plancia di comando, c’è Draghi che farà tutto quello che necessario e anche di più, lo ha detto nove anni fa e gli è rimasto addosso come una seconda pelle. Incrocio le dita e avvio il motore. Buon viaggio.