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Giù il sipario su Alitalia. Rimpianti? No, grazie
Salvare la compagnia di bandiera è costato ai contribuenti italiani 13 miliardi di euro nell’ultimo mezzo secolo
Ore 23.33 di giovedì 15 ottobre, Aeroporto di Fiumicino. Con l’atterraggio dell’ultimo volo – che FlightAware segnala in ritardo di 23 minuti – viene celebrata la fine di Alitalia, tra discorsi passionali, lacrime e abbracci. Il mattino dopo da Milano Linate, alle 6.30, si è alzato in volo il primo aereo di Ita, la società pubblica che prende il posto dell’ex compagnia di bandiera. Chi si fosse svegliato dal coma nella notte di giovedì non avrebbe notato alcuna differenza: la livrea era la stessa di sempre, il logo pure, le divise del personale anche. Ma allora per cosa abbiamo celebrato l’addio ad Alitalia?
Solo i prossimi mesi ci diranno se effettivamente vedremo una discontinuità di fatto tra Alitalia e Ita, come richiesto dalle regole della concorrenza che la Commissione europea è determinata a far rispettare. Per i primi tempi la nuova azienda continuerà a utilizzare stand, logo, aerei della società ormai sostanzialmente fallita. Per evitare l’effetto noia i responsabili di Ita, Alfredo Altavilla (presidente esecutivo) e Fabio Lazzerini (amministratore delegato), hanno tirato fuori dal cilindro la novità della nuova livrea – azzurra tinto con il tricolore – e il nome, che non sarà più Alitalia ma Ita Airways. La “startup” – come il management non perde occasione di chiamarla, forse per mettere le mani avanti sui risultati economici in arrivo inevitabilmente negativi – ha comprato il logo di Alitalia per 90 milioni di euro, ma ha deciso di rifilarlo in un cassetto perché la concorrenza non se ne impossessi.
L’addio ad Alitalia è stato accompagnato da lacrime, fisicamente o metaforicamente versate. Sui quotidiani di giovedì diversi giornalisti hanno raccontato i propri ricordi ed esperienze sulla compagnia che a loro dire è stato il sinonimo del verbo volare, il primo esercizio di democrazia, l’Italia con le ali, ciò che ha permesso a tanti italiani di volare per la prima volta. C’è chi ha scritto dei primi ricordi di volo, chi invece ha raccontato di non aver mai perso una coincidenza con Alitalia, come se la propria esperienza aneddotica possa dirci qualcosa. Per quanto sia piacevole immergersi nei ricordi, oggi di quella realtà non rimane che la memoria di chi è nato nel Dopoguerra. Il mondo di oggi non soffre la mancanza di una compagnia aerea sussidiata dalle tasse dei contribuenti, con perdite miliardarie ininterrotte nell’ultimo ventennio, fornita di aerei mediamente vecchi e con tratte interne spesso in perdita e decise su pressione del politico o della lobby di turno.
Nel 2021 l’alta velocità ha ormai preso il posto dell’aereo per gli spostamenti interni (anche al Sud, nelle intenzioni del Pnrr), le videoconferenze hanno sostituito i viaggi business, le low cost le costose compagnie del Novecento. Nel 2008 la metà dei passeggeri che viaggiavano tra Roma e Milano sceglieva l’aereo e solo il 36 per cento il treno. Otto anni dopo la situazione si era ribaltata: l’alta velocità trasportava 7 viaggiatori su 10, mentre l’aereo è crollato al 18 per cento. Per di più, tra i giovani più attenti all’impatto climatico si è diffusa una certa ostilità ai voli, considerati troppo inquinanti. E se proprio devono comprare un biglietto per viaggiare in qualche capitale europea scelgono Ryanair, EasyJet o WizzAir, che hanno visto aumentare la propria quota di mercato a discapito di Alitalia.
E’ poi paradossale che tra i passeggeri dell’ultimo volo Alitalia, intervistati dai cronisti alla ricerca dell’ennesima voce nostalgica, non ce ne sia stato uno che si sia detto rincuorato dalla chiusura (temporanea) del pozzo senza fondo dello spreco di risorse pubbliche. Salvare la compagnia di bandiera è costato ai contribuenti italiani 13 miliardi di euro nell’ultimo mezzo secolo. Ogni volta che acquistiamo un biglietto aereo, di qualunque operatore, i passeggeri pagano 3 euro per finanziare la cassa integrazione e la disoccupazione dei dipendenti di Alitalia (a cui successivamente si sono aggiunte altre compagnie), di cui godono almeno dal 2009 e che ora potrebbe essere estesa fino al 2025. Come contribuenti non possiamo che essere sollevati dal fallimento di una compagnia aerea pubblica che non è nemmeno riuscita a centrare l’obiettivo per cui tutti i politici l’hanno fino a ora salvata, cioè contribuire all’arrivo di turisti stranieri in Italia. Infatti mentre il numero di turisti ha superato ogni record negli ultimi anni, Alitalia ha perso terreno rispetto alle altre compagnie aeree. D’altronde se l’Italia è davvero il paese pieno di bellezze, cultura e panorami che conosciamo, non si capisce che bisogno ci sia di un’azienda sussidiata dallo stato per portarvi i turisti, che ci verrebbero probabilmente comunque.
Alfredo Altavilla ha dichiarato che Ita “deve dimostrare al contribuente italiano che questa volta staremo attenti all’uso che facciamo del loro capitale”. Le parole sono quelle giuste. Vedremo se almeno questa volta potremo fidarci.