Al Gore scopre che l'ambientalismo senza capitalismo è giardinaggio
Non c'è incompatibilità tra i mercati e gli obiettivi ambientali. Ecco la nuova scommessa del premio Nobel per la pace nel 2007
Al Gore ha lanciato un nuovo fondo destinato a raccogliere capitali per la transizione ecologica. Il fondo, chiamato Just Climate, intende “mettere sottosopra” i modelli tradizionali di investimento, dando la priorità al loro impatto climatico sul ritorno finanziario di breve termine. Il fondo sarà presieduto dall’ex responsabile di Goldman Sachs Asset Management, David Blood, già socio di Gore in Generation Investment Management, che gestisce asset per un controvalore di circa 36 miliardi di dollari. Tra i primi investitori in Just Climate sono già scesi in campo Microsoft, Ikea, il fondo strategico irlandese e Harvard Management Company, responsabile del patrimonio dell’università americana.
Gore è convinto che il sistema finanziario vada riformato. Questa volta, però, sceglie di farlo non con la forza della politica, ma con quella dell’esempio (e, ovviamente, dell’interesse). “Come settore – ha detto al Financial Times – dobbiamo urgentemente ripensare a come viene allocato il capitale allo scopo di ottenere un vero progresso verso gli impegni alla neutralità climatica”. Inoltre, “c’è un gap di capitale. Ma soprattutto c’è un gap di impatto. Se guardiamo alle opportunità di decarbonizzare l’economia più rapidamente, vediamo che non ci sono abbastanza flussi di capitale”. Dunque, Just Climate intende colmare questa incongruenza raccogliendo e indirizzando gli investimenti con una prospettiva più di lungo periodo, in base all’idea che ciò che è bene per il clima sarà anche bene per il portafoglio.
Saranno i fatti a dire se la scommessa è vincente. Intanto, però, il semplice fatto di averla dichiarata consente di enunciare due scomode verità, che sono tanto più importanti in quanto emergono dalle parole e dai comportamenti di un uomo che, proprio per il suo impegno climatico, è stato insignito del premio Nobel per la pace nel 2007 (assieme all’Ipcc). In primo luogo, non c’è incompatibilità tra i mercati e gli obiettivi ambientali; ne segue che la salvezza climatica non presuppone necessariamente la rottamazione del sistema capitalistico. Se i consumatori e gli investitori esprimono preferenze sempre più orientate alla salvaguardia del pianeta, i mercati risponderanno. Secondariamente, non solo i mercati (intesi in senso astratto) sono uno strumento potenzialmente utile a convogliare risorse verso investimenti e innovazione, ma anche in questo campo la ricerca del profitto è un motore da cui non si può prescindere. Parafrasando Adam Smith, non è dalla benevolenza degli investitori che Gore si aspetta i capitali, ma dalla cura che essi hanno del proprio interesse. Un interesse che si declina secondo diverse dimensioni: legate al profitto finanziario (seppure nel medio termine), ma anche all’immagine e al posizionamento etico e commerciale che traspare da scelte di questo tipo.
In sostanza, si può raggiungere il traguardo di “net zero” senza sacrificare il benessere degli individui – e, anzi, continuando a farlo crescere – ma bisogna sviluppare tecnologie sempre più sofisticate. Non sappiamo quali di esse si imporranno nel futuro: lo scopriremo attraverso tentativi ed errori, come abbiamo sempre fatto. E il sistema finanziario rappresenta una essenziale cinghia di trasmissione per coordinare capitali, innovazione e messa a terra delle diverse tecnologie. In ultima analisi, Gore dimostra coi fatti quanta verità ci sia nella scritta immortalata da Leonardo Accardi vicino agli ex mercati generali a Roma (facendo il verso a Chico Mendes): l’ambientalismo senza capitalismo è giardinaggio.