Società quotate e rinnovi dei cda. Un dibattito, a partire da Generali
Il consiglio di amministrazione uscente di una società quotata può presentare una propria lista per l’elezione degli amministratori? E, se sì, in quali casi? Qualche risposta
Il consiglio di amministrazione uscente di una società quotata può, e a quali condizioni, presentare una propria lista per l’elezione degli amministratori? Il dibattito, già vivace di suo, è divenuto effervescente a seguito delle recenti vicende finanziarie riguardanti le assicurazioni Generali. E’ degli scorsi giorni poi la notizia che la Consob ha aperto un’istruttoria, al momento informativa, sulla vicenda. Si tratta di un fenomeno in crescita.
Sono 36, su circa 220, le società quotate in Italia che includono nel loro statuto tale clausola e 10 i casi in cui la stessa è stata utilizzata con risultati sempre positivi. In queste situazioni la lista del cda uscente ha ottenuto la palma di lista di maggioranza, a seguito del voto assembleare. La clausola, infine, è presente negli statuti del 57 per cento delle società ad azionariato diffuso, dove cioè nessun socio ha più del 20 per cento delle azioni. E’ proprio la frammentazione dell’azionariato a costituire il presupposto logico di una lista presentata dal cda uscente. Un azionariato molto diffuso rende, infatti, poco agevole e poco rappresentativa la presentazione di liste da parte dei soci, essendo assente un socio di riferimento, in grado di orientare le scelta dell’assemblea. La lista del cda – in tali contesti – può dunque fungere da aggregatore di consensi, ma – allo stesso tempo – rappresenta una commistione tra proprietà e gestione, attribuendo ai gestori il potere di incidere sulla più rilevante attribuzione dei soci ovvero la nomina degli amministratori: incide sulla carne viva di una delle prerogative più rilevanti dei soci.
In Italia, peraltro, sono pochissime le realtà societarie in cui è presente una reale polverizzazione dell’azionariato. Non c’è quindi il rischio che nel nostro sistema dietro la lista del cda si celino uno o più soci forti che tendono ad occultare collegamenti di fatto? Oppure un socio forte, regista della lista del cda, che agisce con l’intento di dotarla di un’aurea di indipendenza e di maggiore forza persuasiva? La facoltà per il cda uscente di presentare una lista per il rinnovo del Consiglio non è disciplinata né dalla legge, né da normativa secondaria. Il Testo Unico della Finanza riserva alla lista di minoranza il potere di esprimere la nomina di almeno un amministratore. In tale quadro, quale ruolo gioca la lista del cda? Se questa raccoglie il maggior numero di voti dalla stessa verranno presi la maggioranza degli amministratori e dalla lista seconda classificata verranno pescati gli amministratori di minoranza. Ma qualora la lista del cda giunga seconda che succede? In base a molti statuti la lista del cda fungerebbe comunque da lista della minoranza con i conseguenti effetti.
A me pare, viceversa, che la lista del cda nasca con una vocazione maggioritaria. Qualora intorno ad essa non si coaguli il voto della maggioranza dei soci, non mi parrebbe legittimo considerarla lista di minoranza, ma essa dovrebbe semplicemente cedere il passo alla lista terza classificata, reale espressione di una minoranza di soci e non di un consiglio di amministrazione uscente “sbugiardato” dai soci. E poi, gli accordi o anche più semplicemente gli scambi di informazioni tra soci e consiglieri uscenti, funzionali alla presentazione di una lista da parte del cda, possono rappresentare in sé un patto parasociale e dunque costituire un’azione di concerto, rilevante – almeno in via potenziale – ai fini del sorgere di un obbligo di OPA? Sul punto è eccessivamente formale, per giustificare una risposta negativa, il fatto che il concerto riguarda la presentazione della lista e non il voto in assemblea. Mi parrebbe viceversa significativo in senso opposto che il concerto intervenga a livello superiore ovvero tra i soci del socio forte.
In definitiva, la lista del cda interferisce con la prerogativa principale dei soci ovvero la nomina degli amministratori ed ha una sua ragione d’essere soprattutto nei casi di reale e sensibile polverizzazione dell’azionariato e non quando – pur non essendo presenti soci con percentuali di proprietà azionaria maggiore del 20 pre cento – vi siano azionisti per così dire di riferimento. In tali contesti una lista del cda uscente per la nomina del nuovo consiglio pare legittima a condizione che essa rappresenti la volontà, se non del cda unanime, perlomeno di una sua larga e nutrita maggioranza.
Maurizio Irrera è professore ordinario di Diritto commerciale dell’Università di Torino