ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI 

l'intervista

La pandemia come stress test sul commercio: chi si salva

Stefano Cingolani

“Meno imprese individuali, più società di capitali e più tecnologia”. Parla il numero due di Unioncamere

All’appuntamento della ripartenza Firenze s’è fatta trovare puntuale. E non solo perché è la città della cultura – basti pensare al boom degli Uffizi –, quella del turismo e quella della moda, le tre stelle che la fanno brillare nel mondo intero come dicono i suoi abitanti, i quali certo non peccano per understatement. Ha colto l’attimo anche la Firenze delle 118 mila imprese, dalla farmaceutica alla meccanica alla pelletteria, quella dell’artigianato integrato all’industria, della tecnologia e dei servizi, persino la ristorazione messa a terra dai lockdown ora fa registrare il segno più. Insomma, stiamo parlando di una vasta area che prima della pandemia ha contribuito con 34 miliardi di euro al prodotto lordo nazionale (con una quota dell’export pari al 50 per cento) e che  alla fine dell’anno avrà recuperato il 9,7 per cento perso nel 2020. Molti anche in Italia sono rimasti sorpresi dal rimbalzo dell’economia reale e si chiedono se sarà momentaneo o se durerà. Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio e vicepresidente di Unioncamere, analizzando come le imprese hanno reagito alla crisi si è convinto che la crescita abbia alla base una forte componente strutturale. “Firenze si è mossa in linea con la tendenza nazionale: le aziende che puntano sulla qualità stanno guidando la ripresa – spiega al Foglio – Ciò vale anche per l’agricoltura che negli ultimi anni è stata molto rapida nel cogliere i nuovi gusti e le nuove sensibilità dei consumatori, si pensi alla leadership italiana nei prodotti biologici. Il marchio Italia funziona in tutto il mondo, naturalmente se si mantiene alto il livello dei prodotti e chiara la loro identità”.

     

  

Il centro studi della Camera di commercio ha calcolato che, depurando dai dati le oltre 2.800 imprese individuali chiuse d’ufficio, nel secondo trimestre del 2021 il saldo fra cessazioni e nuove aperture è tornato positivo, con 660 imprese in più rispetto allo stesso trimestre del 2020. La vitalità è trasversale e contagia anche l’artigianato: dopo anni di continua erosione registra un piccolo, ma confortante segno di recupero con 65 nuove aziende nate fra aprile e giugno 2021. Ad andare meglio sono le costruzioni che, trainate dal contributo governativo del Superbonus, crescono del 4 per cento. Bene i servizi, sia alle imprese sia alle persone, soprattutto quelli attivi nel digitale: qui la crescita sfiora il 6 per cento. Mentre i bar perdono terreno con cessazioni pari al 5,5 per cento, la ristorazione cresce del 5 per cento. Quel che emerge al di là delle percentuali è un tessuto economico in piena mutazione: le attività tradizionali arretrano e quelle più innovative avanzano, trainate dalla corsa del digitale. Diminuiscono le imprese individuali e le società di persone, mentre crescono le società di capitali, un segno anche questo che le nuove sono più strutturate e solide.

  

Il rischio di una tempesta perfetta non è da escludere: scarsità di materie prime, prezzi dei materiali, una logistica in panne, ci sono crisi come quella che ha colpito la Gkn, insomma le nubi si fanno minacciose, ma anche per questo è essenziale che le imprese sappiano cambiare la loro cultura e la loro organizzazione utilizzando al meglio le occasioni offerte dalla rivoluzione digitale. Il modello italiano resta basato su attività spesso microscopiche, eppure proprio la rete internet può offrire un’alternativa al nanismo, sostiene Bassilichi: “Quanti piccoli produttori possono crescere proprio grazie alle grandi piattaforme, quanti artigiani possono farsi conoscere e mettere in vetrina i loro prodotti? Non vale solo per la manifattura: quanti negozi di prossimità utilizzando bene le tecnologie digitali possono specializzarsi, fidelizzando i vecchi clienti e trovandone di nuovi anche fuori dalla propria area?”. Il commercio ha sofferto di più, è stato nello stesso tempo travolto e riplasmato dall’irrompere massiccio dell’e-commerce, molti faticano ad adattarsi, tuttavia “fare rete può essere l’antidoto all’individualismo e al solipsismo, la malattia nazionale che impedisce di lavorare insieme agli altri”. 

 

Leonardo Bassilichi, insieme al fratello Marco, ha costruito un’azienda di pagamenti digitali acquisita nel 2016 dall’Istituto centrale delle banche popolari che controllava Cartasi, da qui un anno dopo è sorto il gruppo Nexi. Il mondo nuovo, dunque, fa parte della sua cultura e della sua esperienza imprenditoriale: “Dobbiamo aiutare le imprese che ancora sono rimaste indietro – dice –. È quel che facciamo anche alla Camera di commercio”. Il tessuto economico italiano ha bisogno di essere consolidato e rafforzato, grazie a internet ciò può avvenire non più soltanto con fusioni e acquisizioni, con il pesce grande che mangia quello piccolo, ma attraverso il paradigma digitale. Si tratta di cambiare la cultura d’impresa e la sua organizzazione, non basta dotarsi di un sito, le tecnologie digitali richiedono un modo diverso di stare sul mercato e di lavorare. “Penso alle agenzie turistiche – aggiunge Bassilichi –: il loro core business non è più fare i biglietti, ma possono specializzarsi, ampliare l’offerta, servire in tutto e per tutto dalla consulenza alla logistica, chi va in vacanza”. Lo stesso può dirsi per le banche e le attività finanziarie. C’è meno bisogno di sportelli e più di servizi à la carte, ritagliati sulle esigenze del cliente-risparmiatore, in un mondo di interessi zero si guadagna offrendo prodotti non sul margine tra tassi attivi e passivi.

  

  

La grande transizione non passa solo attraverso le infrastrutture. Naturalmente ci si augura che il Pnrr sia finalmente l’occasione per una vera modernizzazione del paese. Tuttavia la combinazione tra le due rivoluzioni, quella digitale e quella energetica, richiede un salto di qualità nel modo di fare impresa. Ritardi e vuoti  non mancano, però Bassilichi resta ottimista. Cambiare non è un’opzione, è una necessità, il modello Italia è in grado di restare se stesso e trasformarsi nello stesso tempo. Firenze, questa immagine speculare del Bel Paese, non fa eccezione, semmai può fare anche lei da laboratorio.