concorrenza mozzata
I taxi, la spina nel fianco delle riforme
I tassisti, un problema di agibilità politica delle liberalizzazioni: nella loro testa, l’abusivismo è una categoria così ampia da abbracciare qualunque forma di concorrenza, attuale o potenziale
Il disegno di legge sulla Concorrenza, varato giovedì dal Consiglio dei ministri, non è ancora arrivato alle Camere, che già i tassisti sono sul piede di guerra. L’oggetto del contendere è l’articolo 8, che delega il governo a riscrivere la disciplina del settore, nei suoi tratti fondamentali ferma ancora al 1992. Tra i criteri della delega, vi sono indicazioni apparentemente ovvie quali “l’adeguamento dell’offerta di servizi alle nuove forme di mobilità che si svolgono mediante applicazioni web” e la “promozione della concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati”. Tanto basta ai conducenti di autopubbliche per alzare il livello dello scontro. Né sembra placarli la promessa, anch’essa contenuta nella delega, di misure più efficaci contro l’abusivismo, una storica richiesta degli stessi tassisti. Il problema è che, nella loro testa, l’abusivismo è una categoria così ampia da abbracciare qualunque forma di concorrenza, attuale o potenziale. La storia recente gli dà ragione: nonostante la loro sia una battaglia contro il progresso e contro cambiamenti che ormai hanno permeato la nostra società, finora la strategia della voce grossa si è sempre rivelata vincente. La domanda è: esiste un partito, grande o piccolo, che abbia il coraggio di schierarsi dalla parte dei consumatori, del mercato e del buonsenso?
I tassisti saranno anche una lobby potente, ma in tutto sono circa quarantamila. Come è possibile che nessuno voglia intestarsi la difesa dei restanti cinquantanove milioni novecentosessantamila cittadini italiani? Eppure, la riforma del trasporto pubblico non di linea (se supererà l’esame delle Camere e se la delega sarà esercitata) è una delle poche misure che possono mantenere alto il profilo riformista del governo. Ma tale profilo non può reggere nel tempo se rimane orfano. Quel che è vero nel particolare (la riforma del trasporto pubblico non di linea) è ancor più vero nel generale (l’agibilità politica delle liberalizzazioni). Ieri i quotidiani hanno dedicato ampio spazio ai contenuti del ddl Concorrenza, descrivendone ogni aspetto, elogiando o criticando l’esecutivo secondo i punti di vista. Ciò che più colpiva, però, non era quel che si trovava nei tanti articoli, ma quel che mancava.
Non c’è stato un singolo ministro, viceministro, sottosegretario, senatore, deputato, consigliere regionale o comunale che abbia voluto mettere il cappello sul provvedimento. L’unico a prendersene la responsabilità, in una lunga intervista sul Corriere della Sera, è stato un tecnico, il consigliere giuridico del premier, Marco D’Alberti. Normalmente c’è la corsa ad accaparrarsi meriti altrui. Ieri c’è stata invece la fuga dalla responsabilità, figlia evidentemente della convinzione che la concorrenza non porta voti. Più ancora della debolezza dei contenuti del ddl Concorrenza, dovrebbe preoccupare allora la netta indicazione politica che nessuno lo vuole, e che dunque il Parlamento si prepara ora a votarlo di malavoglia, ora a svuotarlo con passione.