Per la climatologa Tebaldi anche oltre 1,5°C non sarà catastrofe, e le rinnovabili da sole non bastano
"Contro i cambiamenti climatici servirebbe un mix energetico più ampio. Sul nucleare ci vuole un'informazione che eviti la paura di possibili incidenti". Parla Claudia Tebaldi
"I discorsi apocalittici fanno più danni che altro. Esistono metodi di adattamento al cambiamento climatico, non vedo alcuna catastrofe all’orizzonte”, parla così Claudia Tebaldi, climatologa trapiantata negli Usa da oltre trent’anni e coautrice del sesto rapporto dell’Ipcc (quello che, in materia di riscaldamento climatico, ha fissato la soglia massima di 1,5°C a fine secolo rispetto all’era preindustriale). “Il nostro lavoro, che coinvolge gli esperti di oltre 150 paesi, indica un limite, 1,5°C, superato il quale non assisteremo alla catastrofe. Il nostro è un warning, è un consiglio ai governi del mondo: meglio rallentare la velocità con cui le temperature aumentano”. Tebaldi, lei ha detto che, piuttosto che insistere sui comportamenti individuali, sarebbe meglio investire nelle tecnologie che consentono di adattarsi e di rallentare il cambiamento climatico. “Penso che oltre un certo limite non sia possibile cambiare i comportamenti delle persone. Io, per esempio, sono vegetariana e gli allevamenti intensivi sono un grosso problema in termini di emissioni di CO2. Tuttavia, non mi sognerei mai di ricorrere alla coercizione o di dettare per legge quello che la gente può mangiare. Meglio informare e provare a persuadere”.
Quando si parla di tecnologie innovative, vengono in mente i sistemi di cattura della CO2 già emessa o di accumulo per risolvere il problema della natura intermittente di solare ed eolico. “Nel campo dell’innovazione tecnologica possiamo fare molto per migliorare la capacità di adattamento a eventi estremi sempre più frequenti e disastrosi a causa del riscaldamento globale. Prendete l’uragano Katrina che nel 2005 devastò New Orleans: lo scorso anno Ida non ha provocato conseguenze paragonabili perché eravamo pronti. Oggi siamo in grado di prevedere e difenderci da questi fenomeni. Le tecnologie Ccs (carbon capture and storage, ndr) consentiranno di continuare a impiegare combustibili fossili senza che aumenti la concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Pubblico e privato devono puntare sulla ricerca per inventare soluzioni nuove”.
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha detto che dobbiamo investire anche nella ricerca sul nucleare e la Commissione europea farà sapere entro la fine dell’anno se l’atomo rientra nella tassonomia verde. “Io penso che le rinnovabili, da sole, non possano essere la soluzione definitiva a causa del loro carattere intermittente. Serve un mix energetico più ampio. Sul nucleare servirebbe un’informazione corretta per evitare che la paura di possibili incidenti prenda il sopravvento sugli argomenti razionali. Le vittime provocate dalle malattie polmonari a causa dell’aria che respiriamo sono di gran lunga superiori ai morti provocati dai disastri nucleari”.
A Glasgow prosegue la Cop26 che ha trovato un primo accordo su lotta alla deforestazione e taglio delle emissioni di metano. “Seguo il dibattito con interesse, mi sembra che il tema del global warming sia affrontato in modo consapevole e serio. Rimangono i problemi di stampo politico, l’analisi costi-benefici che ogni paese è chiamato a svolgere perché la transizione ha costi elevati. Non sono ottimista sul risultato finale, dubito che dalla Cop26 verranno fuori decisioni efficaci per rimanere sotto la soglia di 1,5°C. Considerate che, se si cominciassero a ridurre, immediatamente, le emissioni in modo significativo e globale, avremmo qualche chance di mantenerci a 1,6-1,7°C e magari con la tecnologia, nella seconda parte del secolo, di arrivare a 1,5°C. Le ultime statistiche sulle emissioni, però, ci portano al massimo, se tutto va bene, a 2,1°C. Realisticamente, supereremo il target di qualche decimo di grado”. Questo obiettivo è raggiungibile senza il contributo della Cina? “No, il contributo di Pechino è decisivo visto che parliamo del big polluter del mondo, il primo paese per emissioni di CO2. L’azione europea e americana non bastano a controbilanciare l’inazione cinese. Anche India e Russia devono fare la loro parte. Se New Delhi può essere considerato ancora un paese in via di sviluppo, la Cina non può considerarsi tale: oggigiorno investe in tecnologie avanzate più di Europa e Usa. E’ un paese sviluppato a tutto tondo”.