Contro il climate change non serve panico, ma innovazione
Porre in antitesi produzione di ricchezza e salvaguardia del clima e dell'ambiente non è utile a preservare il pianeta. E avrebbe svantaggi non solo sulle economia dei paesi ricchi, ma anche su quelle dei paesi meno abbienti. Perché la crescita può e deve essere resa verde
Il 2020 entrerà nei libri di storia come un anno tragico per l’umanità. Eppure, se è vero che ogni cosa ha un suo lato positivo, quello dell’anno scorso potrebbe essere il fatto che le emissioni di CO2 sono diminuite al ritmo più rapido dalla Seconda guerra mondiale (-6,4 per cento). Tutto ciò non dovrebbe sorprendere. Le misure messe in campo per contenere la diffusione del Covid-19 hanno portato l’economia mondiale a una brusca frenata. Poiché molte attività non essenziali sono state chiuse e i consumatori sono rimasti a casa, il pil globale si è contratto del 4,9 per cento. Il commercio estero è crollato (-5,3 per cento) e la domanda di voli aerei ha subito il calo più forte della sua storia (-66 per cento). Per molti, dunque, il dubbio si è insediato: la crescita dell’economia e la protezione del pianeta sono due obiettivi intrinsecamente incompatibili?
La posizione di coloro che considerano la risposta negativa sta guadagnando alcuni sostenitori degni di nota. Proprio il mese scorso, il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi ha attaccato politici e decisori per la loro cieca devozione al pil, visto come inconciliabile con l’accordo di Parigi. Queste parole fanno eco ai rimproveri dell’attivista per il clima Greta Thunberg, che ha esortato i leader mondiali ad abbandonare favole di eterna crescita già nel 2019, e ha ribadito l’appello alla Cop26 di Glasgow. La recente carenza di materie prime alimenterà ulteriormente la sensazione che l’umanità stia raggiungendo i limiti imposti da un pianeta finito.
La situazione attuale non è tuttavia senza precedenti storici. Nel 1973, una crescente consapevolezza ambientale combinata con l’impennata dei prezzi dell’energia portò molti ad avvicinarsi all’idea che l’economia fosse inevitabilmente limitata dai confini del pianeta. Appena un anno prima, un gruppo di biofisici del Massachusetts Institute of Technology (Mit) aveva prodotto un rapporto che tracciava le interazioni tra popolazione, economia e ambiente. La conclusione inevitabile: fermare la crescita esponenziale, o affrontare una catastrofe. In verità, la crescita economica non implica un’estrazione sempre maggiore di risorse dalla natura, né inevitabili emissioni di gas serra. Dal 1990, l’Unione europea ha ridotto le proprie emissioni di CO2 di un quarto, mentre il pil reale è cresciuto del 62 per cento. Lo stesso vale per gli Stati Uniti. Anche tenendo conto del fatto che una parte della produzione inquinante è stata delocalizzata all’estero, le emissioni sono diminuite (-13 per cento) tra il 2007 e il 2016, mentre il pil è cresciuto del 13 per cento. Il professore del Mit Andrew McAfee ha dimostrato nel suo recente libro More from Less che dagli anni 70 l’economia americana, e in particolare la produzione, si è già ampiamente disaccoppiata (o “dematerializzata”) praticamente da tutte le 72 risorse materiali tracciate dall’U.S. Geological Survey, tra cui metalli, legno e cemento, anche quando si tiene conto delle importazioni di materie prime. L’interazione tra economia e uso di energia non è dissimile. Nei paesi dell’Ocse il pil è aumentato in media del 32 per cento tra il 2000 e il 2016, a fronte di una domanda di energia primaria in discesa (-1 per cento). In un articolo scientifico del 2018, il professor Michael Grubb dell’University College di Londra e coautori forniscono una spiegazione convincente del perché. Quando i prezzi dell’energia aumentano, come hanno fatto durante le crisi petrolifere degli anni 70, nel breve periodo questo porta a effetti recessivi. Nel lungo termine, tuttavia, miglioramenti significativi dell’efficienza energetica riportano le economie in equilibrio. In altre parole, un’economia è incredibilmente adattabile.
Quando si tiene conto dell’adozione di politiche ambientali sempre più ambiziose, il declino osservato nella domanda di energia e nelle emissioni di CO2 è presto spiegato. Fermare la crescita non solo è tutt’altro che necessario per preservare il pianeta. Avrebbe anche grandi svantaggi. Per i paesi ricchi, implicherebbe meno risorse disponibili per pagare per sanità e pensioni, in un momento in cui la quota di popolazione anziana è in rapida espansione. Per le nazioni meno ricche, tale opzione è ancora più inverosimile, in quanto l’abbandono della crescita confinerebbe molti a una condizione di miseria, con molti bisogni fondamentali lasciati insoddisfatti. Disordini sociali sarebbero inevitabili. La crescita può essere resa verde, anche se questo richiederà la rapida adozione di ambiziose politiche climatiche e ambientali, e in particolare di nuove tecnologie green. Fondamentalmente, questo si baserà sul continuo perseguimento della ricerca e dell’innovazione, facendo leva sull’ingegno umano, che fortunatamente non conosce limiti.
(Alessio Terzi è economista del DG Ecfin della Commissione Europea e lecturer all'Univeristà Sciences Po - Lille)