Girotondo lagunare
Tra colpe e calamità. Il vetro artistico di Murano può salvarsi?
Il rincaro dell’energia ha ridotto “a pochi mesi di vita il prodotto più contraffatto del mondo”. Eppure le vie per tutelarsi c’erano. Vetrai, politica e strategie d’impresa a rapporto
Il caro bollette rischia di rivelarsi per Murano quello che Napoleone fu per la Serenissima: il colpo di grazia su un miracolo storico in affanno. È l’autunno più freddo per l’isola del vetro. Si sono già spente 10 fornaci su 64, almeno fino a quando non converrà altrimenti. Per queste aziende, finezza millenaria del made in Italy, l’energia rappresenta la seconda voce di costo dopo i dipendenti: il +500 per cento sa di sentenza. “Ma è soltanto la goccia che fa traboccare il vaso”, artigianato locale e politica dicono all’unisono, e mai proverbio fu più azzeccato. Si riferiscono all’acqua granda, al lockdown, all’illusione della ripartenza che aveva preceduto i prezzi del gas schizzati alle stelle. C’è molto di più.
Come per un paziente malato, la priorità ora è tamponare l’emorragia. “Servono 4-5 milioni per salvare il settore”, sostiene Nicola Pellicani, il deputato veneziano del Pd che lo scorso mese ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministero della Transizione ecologica. “Si tratta di una cifra sostenibile, da inserire subito nella legge di bilancio. Nonostante la mobilitazione bipartisan”, dalla Lega a Forza Italia, “siamo ancora in attesa di risposte concrete dal governo: capisco che ci sono anche altri comparti in difficoltà, ma Murano è un caso eccezionale. E richiede interventi d’emergenza”.
Poi però servirà individuare una terapia eziologica. Dal 1970 a oggi gli impiegati del vetro artistico sono passati da 3000 a 650. Negli ultimi trent’anni – dati pre-crisi – il giro d’affari è diminuito del 40 per cento. E soltanto nei negozi di Venezia l’80 per cento delle vendite deriva dalla concorrenza sleale. L’export internazionale in parte compensa – fino al 40 per cento degli introiti totali –, ma il danno economico e d’immagine persiste. “Siamo il prodotto più contraffatto del mondo”, sospira Luciano Gambaro, presidente del consorzio Promovetro. Il rebus è questo. Il marchio registrato Vetro Artistico Murano, gestito dall’ente, esiste dal 1994. Oggi è un pratico bollino di garanzia sul manufatto, con tanto di Qr code per tracciarne le tappe di lavorazione: “L’unico strumento di salvaguardia per noi e per il consumatore, che infatti ce lo chiede sempre di più. Però solo negli ultimi otto-dieci anni si è iniziato a impiegarlo davvero”. E prima? “Purtroppo, non ci sono state sufficienti politiche di finanziamento. Meglio tardi che mai”. Amen.
Altro problema: “Finora hanno aderito al marchio 47 aziende produttrici muranesi. All’appello ne mancano 17”. E due di queste, Venini e Barovier&Toso, fatturano oltre 30 milioni all’anno sui circa 165 dell’intero settore. “Le big sostengono di essere loro stesse un brand”, continua Gambaro, “ma il bollino di categoria sarebbe semplicemente un di più”. Eppure non è solo questione di dimensione. Ribatte Antonio Ceschel, direttore generale della Carlo Moretti, fra le ‘piccole’ rinunciatarie: “Quando fare sistema funziona siamo in prima linea. Facciamo parte di un consorzio per l’acquisto di energia elettrica e gas, che di solito ci aiuta a contenere i costi delle forniture. Ma per il controllo qualità basta venirci a trovare”, all’imbocco del suggestivo Rio dei vetrai: fornace, laboratorio e negozio insieme. I veneziani lo sanno, i turisti no. “Il nostro però è un target di nicchia, che spesso si traduce nel compratore facoltoso su ordinazione dalla Russia o dall’America. Siamo aziende con un’identità propria e un inconfondibile sogno di design”, i lampadari Barovier&Toso, il vetro velato di Venini o il Moretti dai colori decisi: “Sarà mica Promovetro il marchio forte?”
È una storia infinita, perché a sua volta il potere economico e contrattuale aumenta all’aumentare dei contraenti. “In qualunque settore, i benefici marginali del marchio sono maggiori per le imprese più fragili o nascenti”, interviene Alfonso Gambardella, direttore del dipartimento di Management e tecnologia alla Bocconi: “Un’azienda non può essere obbligata a far parte di un consorzio. Se ha altri vantaggi competitivi, è anzi plausibile che non le convenga in senso stretto. Ma mettersi di traverso al proprio territorio potrebbe precludere esternalità positive importanti. E, alla fine, rivelarsi controproducente”.
Il sistema Murano poteva fare di più? “Questi numeri riflettono strategie storiche errate”, spiega il professore. “Secondo la sola logica di mercato, il vetro artistico potrebbe essere destinato a morire. E la sua forza lavoro a confluire nell’emergente industria low-cost”. Triste verità: se il consumatore consapevole preferisce la paccottiglia da souvenir alla spesa del manufatto, ne ha tutto il diritto. “Murano però ha una tradizione storica. È un bene culturale e come tale non può prescindere dall’intervento dello stato: difficile che una protezione intellettuale forte possa risolvere i problemi da sola. Ma li allevierebbe”.
E siccome – su questo sono tutte d’accordo – allo stato attuale le fornaci hanno pochi mesi di vita, anche quel poco oggi sarebbe stato un lusso. Un’opportunità, almeno: non per rimandare un definitivo spegnimento, ma per ristrutturare l’intero sistema del vetro artistico. Che non diventi l’ennesimo rimpianto di Venezia.