I barbari sono alle porte in Tim?
Telefonia e geopolitica: una mossa del cavallo (con KKR), con qualche problema per il governo
I barbari sono alle porte, anzi entrano dalla porta principale? Quel che non è riuscito ai governi, che da anni stanno sfogliando la margherita sulla sorte della rete e di Telecom Italia, riuscirà al mercato? Il fondo americano KKR specializzato in spezzatini industriali (cioè nell’investire in imprese a basso rendimento ed estrarre valore dalle sue attività) ha offerto di comperare tutta Tim per poi scorporare la rete e ripagare così in parte i costi. Tim in borsa vale 7.5 miliardi di euro e ha debiti di 22,5 miliardi, la rete è stata stimata oltre gli 11 miliardi (alcuni parlano di 15) e potrebbe essere acquistata da Open Fiber la società che fa capo alla Cassa Depositi e Prestiti. L’offerta, ritenuta “amichevole” e anticipata dal Corriere della Sera, è stata sottoposta a un consiglio di amministrazione straordinario concluso poco dopo le 19. KKR offre 50 centesimi ad azione con un premio rispetto alla quotazione attuale (ha chiuso venerdì a 35 centesimi).
“I barbari alle porte” è i titolo di un best seller americano che racconta la scalata alla Nabisco del 1989, il più grande leveraged buyout della storia, portò alla ribalta il fondo Kohlberg Kravis Roberts & Co. specializzato in acquisizioni a debito che si ripagano con i cespiti delle società obiettivo. Oggi KKR è molto attivo nelle telecomunicazioni (ha tentato anche di comprare l’olandese KPN, ma è stato respinto) e quella italiana sarebbe la maggiore acquisizione europea in un settore fortemente rilanciato dalla pandemia, ma bisognoso di nuovi obiettivi strategici. Ciò è ancor più vero per Tim che non sta andando affatto bene ed è caduta nella trappola di Dazn. L’accordo per il calcio con l’operatore britannico è stato un flop clamoroso.
Il fondo KKR non può essere certo definito ostile, è già presente con il 37,5% pagato 1,8 miliardi di euro, in FiberCop la società per gestire l’ultimo miglio nella quale è confluita Fastweb e ha buoni rapporti con l’attuale management a cominciare dall’amministratore delegato Gubitosi, tanto che secondo alcune voci sarebbe stato lui a invitare al tavolo KKR per contrastare Vivendi di Vincent Bolloré, primo azionista di Tim con il 24%, che vuole cambiare il capo azienda per mettere un uomo di sua fiducia. Manovre e contromanovre a parte, l’offerta fa saltare il banco. Vivendi da parte sua ha negato di essere in combutta con KKR o con uno degli altri fondi che hanno manifestato un interesse per Tim, come CVC o Advent. “Noi siamo azionisti di lungo termine - ha detto un portavoce del gruppo francese - e vogliamo lavorare con il governo e le altre istituzioni per rimettere in carreggiata Telecom Italia. Non siamo contenti con gli attuali risultati, ma l’importante è impedire che questa nave faccia naufragio”. Una dichiarazione attendista. Al fianco di KKR è scesa in campo anche JP Morgan guidata in Europa dall’ex ministro delle economia Vittorio Grilli.
Il richiamo al governo non è fatto per caso perché c’è in ballo il golden power cioè il potere di veto che riguarda i settori strategici. Palazzo Chigi che era stato informato, fa sapere di voler restare neutrale visto che si tratta di soggetti privati, tuttavia potrebbe entrare in campo per esempio per tutelare la neutralità della rete, tema che sta a cuore anche a Bruxelles. La Commissione europea, infatti, ha detto chiaramente di non volere una rete unica in mano a un singolo azionista di riferimento, tanto meno se si tratta dell’incumbent, cioè dell’ex monopolista che mantiene un potere di mercato dominante. Ma se la rete fosse controllata da un soggetto terzo in grado di garantire l’autonomia e la neutralità del servizio, sarebbe tutta un’altra storia. Può sembrare un aspetto da discutere in un secondo tempo, ma conoscendo la natura e il modus operandi di KKR sembra logico che l’offerta preveda sin dall’inizio lo scorporo della rete. Il governo sarebbe pronto a varare una sorta di supercomitato di ministri ed esperti per esaminare questa possibilità. Tra i nomi ipotizzati, ci sarebbero quelli del ministro dell'Economia Daniele Franco, del ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, il ministro dell'Innovazione Digitale, Vittorio Colao, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Francesco Gabrielli, e gli economisti e consulenti del governo Francesco Giavazzi, Roberto Garofoli e Giuseppe Chiné.