gli affari del fondo usa
Tutte le operazioni di Krr che inducono all'ottimismo per Tim
Oltre la borsa c’è di più. Ci si può fidare del fondo americano? Dati e azioni. E qualche storia di successo
Negli uffici di Londra e New York di Kkr hanno tirato un sospiro di sollievo. I toni distensivi, o comunque non ostili, con cui il governo Draghi ha accolto la proposta di Opa su Telecom sono stati interpretati, se non come un via libera, come un inizio col piede giusto. L’operazione è forse la più complessa messa in campo dal fondo americano nel settore delle infrastrutture digitali in Europa dopo investimenti in Spagna, Francia, Regno Unito Germania (e in Italia stessa con l’entrata in Fiber Cop). Questo settore, per il fatto stesso di essere percepito di interesse nazionale, è equiparabile a un terreno minato per un fondo di private equity che per la Telecom italiana ha messo in conto di sborsare oltre 10 miliardi di euro. E difatti il rischio maggiore per Kkr è come reagiranno i partiti politici e fino a che punto riusciranno a influenzare l’umore di Palazzo Chigi che non pare disturbato dalla prospettiva di un’opa sulla società di cui è azionista con il 10 per cento attraverso la Cdp, ma ha pur sempre a disposizione l’arma del golden power.
Tra l’altro, l’offerta darebbe a tutti i soci un premio del 46 per cento rispetto ai prezzi di Borsa delle azioni di venerdì scorso, ma al maggior azionista Vivendi è già parsa sottostimata rispetto al reale valore della società. Ma il gioco, evidentemente, vale la candela. Quella che vede Kkr è l’opportunità di aggiungere un tassello fondamentale al suo puzzle di reti di comunicazione digitali che sta costruendo nel Vecchio Continente dove è diventato anche primo azionista della più grande casa editrice tedesca, Axel Springer. E non è un caso che la mossa dell’Opa arrivi a poche settimane dal rinnovamento ai vertici che ha visto i due storici fondatori – i miliardari Henry Kravis e George Roberts – fare un passo indietro nella gestione e passare il timone ai manager Scott Nuttal e Joseph Bae, entrambi poco meno che cinquantenni e già in forze all’interno del gruppo da svariati anni e diversi incarichi. Praticamente, da quando i due manager sono più coinvolti nelle decisioni operative, le azioni di Kkr sono triplicate di valore e le sue attività in gestione (430 miliardi di euro) e gli utili distribuiti sono raddoppiati.
Il ricambio generazionale in Kkr riflette un rinnovamento della strategia di investimenti che spazia dalle assicurazioni all’immobiliare ma considera sempre di più le infrastrutture di rete e i contenuti informativi che corrono su internet un’opportunità di business da non lasciarsi sfuggire, come dimostra la mossa di Axel Springer di acquistare per 1 miliardo di dollari il sito americano di informazioni Politico. Da quando Nuttal e Bae sono stati nominati amministratori di Kkr a metà ottobre, le loro biografie sono già oggetto di racconti cult dei media americani poiché i due vengono praticamente dal nulla. In particolare Bae, che all’età di ventitrè anni (1996) lasciò la banca d’affari Goldman Sachs per entrare in Kkr come analista junior su segnalazione di un cacciatore di teste. E adesso oltre a co-gestire il secondo più grande fondo di investimento del mondo è consigliere di amministrazione di alcuni grandi gruppi come Exor della famiglia Agnelli.
Kkr è una società che opera a livello globale con 1700 dipendenti, consulenti e advisors tra i quali l’italiano Diego Piacentini, l’ex commissario alla trasformazione digitale del governo Renzi con alle spalle una lunga carriera manageriale americana in Apple e Amazon. Il rischio geopolitico di investire in quattro continenti e nei più svariati settori i soldi dei fondi pensione americani ha spinto alcuni anni fa la società ad affidare a David Petreus, il leggendario generale dei Marines nonché ex direttore della Cia, il ruolo di presidente del Kkr Global Institute. Negli ambienti di Kkr sanno molto bene che non sarà una passeggiata l’Opa su una società strategica per l’Italia come Telecom e sono consapevoli che le probabilità che l’affare possa non andare a buon fine non sono basse. Eppure, è prevalsa la convinzione che l’operazione potrebbe offrire proprio al governo italiano una soluzione nella partita tlc. Se Cdp, come ragionano anche alcuni analisti, accettasse l’offerta di Kkr, eliminerebbe l’impasse strategica di avere una posizione sia in Tim che in Open Fiber, rimanendo esposta solo a quest’ultima e di fatto con la possibilità di rilanciare il progetto di rete unica, di cui negli ultimi tempi si sono perse le tracce. Un ragionamento, però, che potrebbero fare anche altri fondi d’investimento di cui corrono voci di offerte alternative a Kkr.