l'audizione
Tutti i dubbi di Banca d'Italia sulla riforma degli ammortizzatori sociali di Orlando
Poca attenzione alle politiche attive e molta all'assistenzialismo. Le tutele che mancano per giovani e donne. I dubbi sulla cassa integrazione per tutti. Balassone espone le critiche di Via Nazionale sulla legge di Bilancio
L’impressione generale è quella di un’occasione mancata. C’erano le risorse, c’era la percezione condivisa dell’urgenza del provvedimento, c’erano insomma le condizioni giuste per fare in modo che la tanto annunciata riforma degli ammortizzatori sociali fosse qualcosa di rilevante, che cogliesse nel segno del traumatico cambiamento in corso. E invece, ad ascoltare il giudizio che sul progetto dà Banca d’Italia, l’impressione che se ne ricava è quella di un intervento orientato più all’assistenzialismo – che spesso è anche mal indirizzato e dimentica chi ha meno tutele a beneficio di chi ne ha di più – che non all’urgenza di incentivare la riqualificazione dei lavoratori e la riconversione virtuosa delle imprese.
Lo si vede sul fronte delle integrazioni salariali, ad esempio. “La cui durata – ha spiegato due giorni fa Fabrizio Balassone, capo del Servizio struttura economica di Via Nazionale, nella sua audizione in Parlamento – in Italia è già significativamente superiore a quella prevista nei principali paesi europei, dove il sostegno viene garantito per lo più in caso di choc temporanei e la tutela dei lavoratori nei casi di prolungata crisi aziendale è affidata ai sussidi di disoccupazione e alle politiche attive”. Insomma si persevera in un’anomalia tutta nostrana: che si fa ancora più evidente nella misura in cui si rendono strutturali delle misure adottate in via straordinaria durante i mesi del lockdown. Come l’estensione e la maggiorazione dei regimi di integrazione salariale a tutte le imprese con almeno un dipendente (finora il limite era fissato a cinque dipendenti).
Una scelta che, stando alla relazione offerta da Balassone alle commissioni Bilancio di Camera e Senato durante l’analisi della Finanziaria, pone due incognite: anzitutto “andrà verificato a regime che le nuove aliquote contributive consentano di coprire i costi garantendo l’equilibrio finanziario nel medio periodo”; in secondo luogo, bisognerà “prevenire utilizzi opportunistici” della misura, quanto mai probabili vista la grandezza della platea delle aziende coinvolte e la conseguente difficoltà nel garantire controlli. Una mancata svolta resa ancora più evidente in “un contesto segnato dalla transizione tecnologica ed ecologica”: dove gli “indispensabili” strumenti per la riorganizzazione del lavoro “devono essere volti ad accompagnare le imprese a realizzare cambiamenti necessari e i lavoratori a ricollocarsi in nuovi impieghi e mansioni”. E dunque, ad esempio, “l’utilizzo della cassa integrazione straordinaria andrebbe condizionato a realistici programmi di riconversione delle imprese in crisi” e “andrebbero sempre escluse le imprese prossime alla cessazione di attività”.
Anche sul fronte degli aiuti per i disoccupati, come la Naspi, andrebbero ripensati, se è vero che “già prima della pandemia circa il 35 per cento di coloro che percepivano il sussidio dichiaravano di non cercare un lavoro”. Una scarsa attenzione complessiva, quella riservata agli ammortizzatori in caso di disoccupazione rispetto agli strumenti di integrazione salariale, che esaspera un’altra stortura della riforma. “Gli interventi – ha spiegato Balassone – tendono a rafforzare le tutele dei lavori dipendenti a tempo indeterminato più che quelle dei lavoratori a termine, nonostante che la crisi pandemica abbia confermato che sono questi ultimi, spesso giovani e donne, a subire le conseguenze più gravi degli episodi recessivi”.
tra debito e crescita