Mario Draghi, Andrea Orlando e Daniele Franco (LaPresse)

moderato ottimismo

Il realismo della riforma fiscale e tre step che mancano. Parla Andrea Tavecchio

“Era il massimo ottenibile con una maggioranza poco coesa, divisa tra chi si attarda intorno a promesse di flat tax non praticabili e chi indulge su millimetrici correttivi redistributivi che, per i contribuenti, non cambiano sostanzialmente nulla", dice il fondatore di uno dei più importanti studi italiani di assistenza alla gestione dei patrimoni

Sulla riforma dell’Irpef varata dal governo, centrata sulla riduzione del prelievo per i redditi medi, tra una Confindustria delusa “per la mancata considerazione riservata alle imprese” (Carlo Bonomi), i sindacati che lamentano di non essere stati consultati ed una maggioranza che indulge nell’autocelebrazione, c’è chi guarda le cose da esperto, con un moderato ottimismo. Andrea Tavecchio, fondatore e partner di uno dei più reputati studi italiani di assistenza fiscale alla gestione dei patrimoni, considera “più che giusto, ora, agire sui redditi delle persone fisiche, anche se l’aliquota del 43 per cento che parte dall’imponibile di 50 mila euro è sproporzionata e trova pochi riscontri in occidente”. Tavecchio osserva inoltre che questo risultato “era il massimo ottenibile con una maggioranza poco coesa, divisa tra chi si attarda intorno a promesse di flat tax non praticabili e chi indulge su millimetrici correttivi redistributivi che, per i contribuenti, non cambiano sostanzialmente nulla. È una buona riduzione di tasse che per la prima volta dà realmente qualcosa.

 

Un punto di partenza, però, in attesa di una vera compliance fiscale, da realizzare assieme e non contro i contribuenti, ma utilizzando tutti gli strumenti tecnologici dei quali già disponiamo, dalle banche dati che ancora non dialogano tra loro agli algoritmi che in tempo reale seguano la vera situazione delle persone”. Per esempio? “Non si può più considerare il reddito indipendente dal patrimonio. Sia chiaro, non parlo di imposte patrimoniali, ma di rendere migliore la compliance fiscale. E la riforma del catasto va fatta. Un catasto moderno deve seguire le oscillazioni del mercato, gli strumenti tecnologici esistono, basta connetterli tra loro. Diversamente accade che persone a reddito bassissimo siano proprietari di notevoli patrimoni, con esiti e salti illogici nel loro rapporto con il fisco. Può essere evasione, elusione, o altro, certo un sistema fiscale moderno non lo tollera. Il fisco deve poter avere chiarezza su cosa possiedi, non per tassarti di più ma per capire con chi ha a che fare, che tipo di aliquota meriti o, nel momento del bisogno, se e per quanto deve darti un sussidio”. Qui però abbiamo un totem, l’Isee… “Strumento che conosco poco e che in taluni casi sarà anche equo, ma in parecchi altri mi risulta di no”. Quali sono i passi successivi dopo questo primo intervento? “Bisogna muovere tre leve. Come ho detto, il catasto. In tanti casi l’Imu è alta, in quanto il nostro catasto è per così dire analogico. Fotografa situazioni ferme nel tempo, mentre deve adeguarsi al mercato, che oscilla su e giù. Abbiamo tutti gli algoritmi possibili per seguire queste oscillazioni, ma non li applichiamo per aiutare un fisco più moderno. La seconda leva è appunto una dichiarazione dei redditi che includa anche lo stato patrimoniale aggiornato. E, terzo, il lavoro dell’Agenzia delle entrate deve essere supportato dall’incrocio delle molte banche dati disponibili e sempre in evoluzione”.

 

Un occhio più acuto? “No, uno sguardo più moderno e in fondo più attendibile, e dunque più giusto e logico. La fatturazione elettronica non è stata uno strumento vessatorio, è andata nell’interesse anche delle aziende. Faccio un altro esempio: il cashback, al quale ero contrario, ha tuttavia rivelato tante e tali oscillazioni nei flussi d’incasso dei singoli esercizi commerciali da costituire una banca dati che forse in parte giustifica i premi in denaro a chi ha partecipato a questa specie di gioco. Ora però quella banca dati andrebbe usata”. La tecnologia applicata al fisco in maniera intensiva. “Esatto. Stiamo beneficiando di app che oscillano tra limiti di privacy e il semplificare le cose. E poi ci sono i big data. Il fisco deve partecipare a questo processo, l’obbiettivo deve essere pagare meno tasse tutti”.

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