Foto LaPresse

L'andamento demografico in Italia è preoccupante. Le stime dell'Istat

Alberto Chiumento

Il 2020 è stato l’anno con il minor numero di nati dall’unità d’Italia (404 mila). Così il processo di invecchiamento della popolazione mette in pericolo anche la sostenibilità dei conti pubblici. Basteranno gli interventi del governo?

“Le previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un potenziale quadro di crisi”. In questo modo si apre il documento Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, 2020 con cui l’Istat pubblica annualmente le proprie previsioni sull’andamento demografico in Italia. La possibile crisi indicata da Istat è dovuta alla futura decrescita della popolazione residente in Italia: da 59,6 milioni di inizio 2020 si potrebbe passare a 58 milioni del 2030, per poi raggiungere i 54,1 milioni nel 2050 e i 47,6 milioni nel 2070. Ci si attende quindi che entro il 2030 l’Italia possa avere 1,6 milioni di persone in meno rispetto al 2020. Anche l’età media è destinata a salire dagli attuali 45,7 anni ai 50,7 anni nel 2050. Tuttavia, come anche precisa Istat, si tratta di stime, che per natura perdono di efficacia con l’allungarsi dell’orizzonte temporale.

È ben noto che l’Italia – come molte altre economie sviluppate – stia vivendo un momento di invecchiamento e di denatalità. Il 2020 è stato l’anno con il minor numero di nati dall’unità d’Italia (404 mila). Quindi queste previsioni sono degli strumenti importanti a supporto delle decisioni di politica economica e sociale: la popolazione sempre più vecchia, che secondo Istat nel 2050 potrebbe avere un solo giovane ogni tre anziani, impatta notevolmente sugli aspetti pensionistici e sanitari del paese, richiedendo quindi impegni preventivi da parte della politica. Ma modificare il trend demografico di una nazione è difficile. Bisogna provare a unire interventi specifici e riforme strutturali che siano in grado di creare condizioni favorevoli per rilanciare le nascite.

 

L’Italia convive con un basso tasso di natalità da alcuni anni e secondo le previsioni dell’Istat “nemmeno negli scenari contrapposti più̀ favorevoli (regimi di alta natalità̀ incrociati con regimi di bassa mortalità̀) il numero proiettato di nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi”. A questo si aggiunge un altro aspetto: nei prossimi anni il numero delle famiglie è destinato ad aumentare, +3,5 per cento tra il 2020 e il 2040. Si tratterà però di famiglie sempre più frammentate perché le famiglie con un nucleo, composte cioè da almeno una relazione di coppia oppure da un genitore e un figlio, potrebbero diminuire entro il 2040 del 6 per cento mentre quelle senza nucleo potrebbero aumentare del 20 per cento.

A sostegno della natalità è intervenuto il governo con il Family Act. Questo disegno di legge che aveva “l’obiettivo di sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie e contrastare la denatalità” ha introdotto misure importanti. L’assegno unico e universale, che partirà a marzo 2022, permetterà alle famiglie di ricevere un assegno mensile per ogni figlio dal valore compreso tra 50 e 175 euro in base al livello dell’Isee. L’assegno unico è anche uno strumento semplice dato che elimina una serie di farraginosi vantaggi fiscali di cui potevano usufruire in precedenza le famiglie. Il secondo contributo del Family Act è rappresentato dalla riforma dei congedi di paternità. I neo papà potranno così dedicare fino a 10 giorni, entro cinque mesi dalla nascita del figlio, esclusivamente alla famiglia. Il carattere delle norma è stato inoltre reso obbligatorio.

 

Le forze politiche hanno deciso di combattere la denatalità anche tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Essendo un progetto molto vasto, il Pnrr impatta sulla natalità in modo generale. Le risorse per i giovani, ad esempio, sono descritte come “priorità trasversale”. Tuttavia, non mancano interventi specifici, come quelli sugli asili nido, a cui vengono dedicati 4,6 miliardi di euro nella Missione 4. L’obiettivo è quello di creare 228 mila posti aggiuntivi, cercando così di recuperare il forte distacco rispetto agli standard europei. In Italia il rapporto medio tra posti disponibili negli asili nido e bambini che ci potrebbero andare è  pari a 25,5 per cento: 7,5 punti percentuali sotto le norme europeo e addirittura 9,6 punti sotto la media europea. Parte della cifra stanziata è anche dedicata alla costruzione delle mense in circa 1.000 scuole su tutto il territorio italiano.

Il processo di invecchiamento che la popolazione italiana sta vivendo mette in pericolo anche la sostenibilità dei conti pubblici. Il sistema pensionistico si basa su un patto intergenerazionale che però sarà sempre più difficile da rispettare visto come cambieranno i pesi delle diverse fasce di età della popolazione. Attualmente gli over 65 in Italia sono già più numerosi degli under 14 (23 per cento contro 13) ed entro il 2050 questa differenza potrebbe ampliarsi perché gli over 65 potrebbero essere il 35 per cento della popolazione mentre gli under 14 potrebbero non superare nemmeno il 12 per cento. Inoltre, la fascia degli individui in età lavorativa – cioè coloro che attivamente pagano le pensioni - subirà un’ampia riduzione: entro il 2050 potrebbe diminuire del 10 per cento dall’attuale 63 per cento.

Un modo per attutire questo sbilanciamento è rappresentato dall’immigrazione, come aveva anche indicato Tito Boeri, quando era presidente dell’Inps. Il saldo migratorio in Italia attualmente è positivo (si stabiliscono in Italia più persone di quante ne escano) e si prevede che dal 2023 torni ai valori di prima della pandemia. Pur prevedendo uno scenario migratorio positivo, il documento sottolinea che le stesse stime sono sottoposte a grandissima incertezza a causa delle moltissime variabili che contribuiscono a definire i flussi migratorio.

Allontanare il potenziale quadro di crisi mostrato da Istat richiederà molto tempo, ma aver incominciato con l’abolizione di Quota 100 ci mette già un passettino più avanti.

Di più su questi argomenti: