donne e lavoro
La manovra ha un deficit: l'occupazione femminile
Un’occasione persa, sulle defiscalizzazioni, per portare il tasso di occupazione delle donne al 60 per cento
Il disegno di legge del governo sulla Riforma Fiscale contiene la delega legislativa mirata a “ridurre le aliquote medie effettive… anche al fine di incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro… con particolare riferimento… ai secondi percettori di reddito”. Dato che conosciamo per certo il fine di questa disposizione, ossia la promozione dell’occupazione femminile, non sono chiare le ragioni per cui la norma non faccia riferimento esplicito alle donne, come Alberto Alesina ed io abbiamo suggerito nel progetto di Detassazione selettiva del Lavoro Femminile (DLF). Sorprende, soprattutto, la sensazione che siano le organizzazioni del movimento femminista a preferire il riferimento generico ai secondi percettori di reddito.
Perché incentivare l’occupazione maschile, nei casi in cui l’uomo è il secondo percettore, se l’obiettivo da raggiungere è quello di Lisbona 2000: tasso di occupazione femminile al 60 per cento? Al raggiungimento di questo obiettivo siamo sempre vincolati da quel trattato europeo, ma gravemente in ritardo (il tasso è ora sotto il 50 per cento). Quanto alle obiezioni circa la costituzionalità della DLF, esse non sono fondate perché questa misura si configura come “azione positiva” in accordo con il secondo comma dell’Art. 3 della Costituzione; se le quote rosa nei consigli di amministrazione non violano la Costituzione, lo stesso deve valere a maggior ragione per la DLF.
Sono invece numerose le ragioni a favore di un riferimento esplicito alle donne nella delega legislativa al governo. La teoria economica dice che la DLF è efficace nel ridurre le disparità di genere perché interviene sull’origine profonda di queste disparità, che sta nella cultura delle famiglie e non nel mercato del lavoro. Le imprese non hanno interesse a discriminare le donne. Tuttavia, all’interno delle famiglie i compiti sono divisi in modo ineguale tra i sessi: le donne si prendono un carico maggiore e, in Italia, lavorano mediamente più degli uomini, sommando lavoro a casa e in ufficio (un record pressoché assoluto tra i Paesi avanzati).
Per questo le donne sono di fatto forza lavoro a rischio: il datore di lavoro sa che se il bambino o la nonna stanno male è la donna a occuparsene. Anche se la coppia preferisce una divisione egualitaria dei compiti, converrà che sia la donna a rimanere a casa (rovinandosi la carriera), perché il suo stipendio è inferiore a causa del maggior carico familiare. Con la leva fiscale possiamo invece aumentare la retribuzione delle donne al netto delle tasse, rendendo così conveniente, alle coppie che lo desiderano, riequilibrare la divisione dei compiti a casa.
La DLF è anche una politica a costo zero per il bilancio pubblico, e può generare un aumento delle entrate, perché applica un principio economico a cui dovrebbe ispirarsi la tassazione ottimale: il Principio di Ramsey dice che a parità di pressione fiscale media il gettito aumenta se i beni con offerta rigida sono tassati con aliquote più alte di quelle dei beni con offerta flessibile. Attualmente, gli uomini lavorano comunque (offerta rigida) anche se sono tassati con aliquote maggiori (per via della progressività) e il gettito da essi generato potrebbe addirittura aumentare a fronte di un aumento delle loro aliquote. Le donne invece hanno un’offerta elastica, che aumenta molto all’aumentare del reddito al netto delle tasse. Quindi, tassando le donne con aliquote inferiori cresce la loro base imponibile e il gettito da esse generato si riduce di poco, o addirittura aumenta, per effetto del loro maggiore tasso di occupazione. La tassazione ottimale prevede quindi di tassare gli uomini più delle donne per aumentare il gettito a parità di pressione fiscale media, oppure per ridurre la pressione fiscale media a parità di gettito.
Non è chiaro perché la DLF non sia considerata insieme alle altre politiche possibili. Che la DLF funzioni oggi lo sappiamo grazie a uno studio su dati svedesi, condotto insieme a Barbara Petrongolo e Martin Ollson. Abbiamo utilizzato una serie di riforme fiscali che, per come erano disegnate, generavano (in modo quasi-sperimentale) tre campioni: coppie in cui l’aliquota dell’uomo aumenta rispetto a quella della donna, coppie in cui accade il contrario e coppie in cui i partners sono tassati allo stesso modo. Di queste coppie abbiamo anche il dato amministrativo di chi sta a casa dal lavoro quando il figlio/a è malato: quindi abbiamo una misura precisa della divisione dei compiti di cura all’interno di ciascuna coppia. I risultati dello studio sono chiari: nelle coppie in cui l’aliquota relativa della donna diminuisce, l’uomo sta di più a casa con i figli rispetto alla donna, la quale invece lavora di più. E questo succede soprattutto nelle coppie con preferenze più egualitarie riguardo alla divisione dei compiti familiari (ad esempio coppie conviventi invece che maritate). Queste coppie egualitarie sono quelle che dovrebbero essere aiutate a realizzare i loro desideri. A risultati simili giunge anche Enrico Rubolino (Università di Losanna), con dati italiani relativi alla riforma Fornero del 2012.
Sono conclusioni che non devono sorprendere, anche perché altri studi hanno mostrato che è più efficace dare incentivi fiscali alle persone in cerca di lavoro, incassabili se lo trovano, piuttosto che alle imprese affinché assumano quelle persone. Le prime hanno motivi più forti delle seconde per reagire all’incentivo.
La DLF è già stata proposta in Parlamento: con il ddl Morando del 2010, poi ripreso nel ddl P. Ichino del 2013. Una caratteristica interessante di questi ddl è di prevedere una fase sperimentale per determinare correttamente i parametri della proposta. Nelle scienze mediche le terapie vengono sempre sperimentate prima della loro distribuzione su larga scala. Questo è il più importante insegnamento che possiamo trarre dai premi Nobel 2021 per l’economia. Potrebbe quindi essere utile inserire nella delega una valutazione preliminare sperimentale della DLF. E, perché no, della intera riforma fiscale.