Dopo tante promesse a vuoto della politica, la crisi Whirlpool finisce con una buonuscita
Due anni di Naspi e 95mila euro per 317 lavoratori. Invece di dare false speranze, sarebbe stato meglio usare parole chiare e lavorare a questo accordo anni fa
Si è chiusa con il 100 per cento delle adesioni all’accordo firmato tra sindacati e azienda la vertenza Whirlpool di Napoli. Quattro lavoratori hanno accettato l’offerta di reimpiego nello stabilimento Whirlpool di Cassinetta (Varese) con 25 mila euro di incentivo per il trasferimento, gli altri 317 hanno preferito la buonuscita di 95 mila euro e due anni di Naspi. E’ finita con una pace impensabile da trovare tra gli agguerriti lavoratori napoletani e quella che tutti chiamano “la multinazionale” che sborsa altri 30 milioni per chiudere definitivamente i rapporti di lavoro di una fabbrica che aveva abbassato le saracinesche oltre un anno fa. Una vertenza aperta tre anni fa che è stata una delle più rumorose e mediatiche degli ultimi anni. Trentatré manifestazioni a Roma, scioperi, blocchi stradali, presidi con i lavoratori che accusavano la multinazionale di delocalizzare e la politica che prometteva di impedirglielo.
Vertenza Whirlpool, le promesse a vuoto della politica
Senza insistere sulle parole risolutive dell’allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, a cui gli operai alla presentazione a Pomigliano del suo libro dal titolo “Un’amore chiamato politica” hanno regalato la copertina “Un tradimento chiamato Whirlpool”, più recentemente erano stati la viceministra grillina Alessandra Todde, tra le lacrime, a garantire l’assunzione in un fantomatico “consorzio Campania”, e il ministro Andrea Orlando a promettere “nessun licenziamento”. Sperava di poter prorogare la cassa integrazione il ministro del Lavoro, come a ogni scadenza accade a Termini Imerese o al porto di Taranto, ma qui non si può perché Napoli non ricade nell’area di crisi complessa. E Whirlpool non ci sta a rimanere per finta solo per consentire la cassa integrazione in una fabbrica ormai decotta.
L’ultimo che ha provato a offrire incentivi era stato li vicesegretario del Pd Peppe Provenzano, quando era ministro del Sud nel 2020, ma l’azienda rifiutò: “Confermiamo l’obiettivo di 250 milioni di euro di investimenti entro il 2021 e l’impegno a continuare a investire in Italia, ma sul sito di Napoli – disse l’ad La Morgia – abbiamo investito 100 milioni di euro negli ultimi 10 anni, e purtroppo non ci sono più le condizioni di sostenibilità economica”. In realtà rispetto ai 250 promessi, nell’ultimo anno di milioni ne sono stati investiti 284. E rispetto ai 4.200 lavoratori del piano, ne sono impiegati 5.600 negli stabilimenti in Italia. Il problema era solo Napoli, dove si producevano lavatrici di alta gamma, da anni fuori mercato. E a nulla sarebbe servito spostare nel sito partenopeo la produzione di altri elettrodomestici che vanno meglio, perché avrebbe significato togliere lavorato dagli altri siti italiani più avviati. Meglio chiedere ai lavoratori di trasferirsi nei siti del Nord, cosa che solo in 4 hanno accettato. Il fantomatico consorzio campano sulla mobilità sostenibile, l’ultimo coniglio dal cilindro della politica che secondo la Todde avrebbe dovuto costituirsi entro il 15 dicembre per riassumere i 320 lavoratori, difficilmente vedrà la luce.
Le analogie con la crisi Embraco a Torino
“Ve l’ho detto che la fabbrica sarebbe stata chiusa. Ve l’ho detto guardandovi negli occhi. Non è colpa dello stato se il progetto di acquisizione non è andato a buon fine e non è lo stato che assume le persone quando qualcosa va male” disse Macron ai 200 lavoratori Whirlpool ad Amiens. Mentre in Italia la politica prometteva “nessun licenziamento”, l’unico a dire la verità e a essere aggredito dagli operai fu l’ex segretario della Fim Marco Bentivogli. Ora i lavoratori hanno 95 mila euro e due anni di Naspi per cercare o inventarsi una nuova occupazione, forse sarebbe stato più facile tre anni fa se la politica non avesse fatto false promesse. Nel frattempo a gennaio scade la cassa integrazione per 400 lavoratori di Embraco a Torino e il sottosegretario Todde ha promesso un’altra reindustrializzazione che non esiste. Lì però la buonuscita offerta dall’azienda è di solo 7 mila euro.