interesse ritrovato
Perché la Borsa inizia a scommettere sul futuro di Mps
Il titolo della banca senese è salito del 17 per cento. Un ritorno di appeal che potrebbe essere dovuto alle mosse del governo Draghi da cui potrebbe nascere una realtà certamente ridimensionata, ma con un minimo di appetibilità. E intanto i negoziati con Bruxelles ripartiranno
Ieri i riflettori della Borsa si sono accesi inaspettatamente sul Montepaschi. E forse non basta l’annunciata ripresa dei negoziati con Bruxelles sulla privatizzazione per giustificare una cavalcata di quasi il 17 per cento del titolo della banca senese che è arrivato a sfiorare un picco a più 20 per cento. Vero è che nelle ultime settimane la capitalizzazione del Monte è scesa sotto la soglia di 1 miliardo (950 milioni dopo la chiusura delle contrattazioni di ieri) e che le sue azioni potrebbero essere considerate la classiche “penny stock”, cioè appunto titoli dal valore così basso che vengono scambiati sul mercato a meno di un dollaro (in questo caso a meno di un euro poiché valgono 0,95 centesimi). Ma neanche una stagione di saldi sarebbe sufficiente a spiegare una corsa così improvvisa e intensa che, comunque, va rapportata a dimensioni che non sono certe da blue chip.
Basta poco, infatti, per far impennare Montepaschi a Piazza Affari, ma quel poco chi ce lo sta mettendo? “Per me succede qualcosa di inspiegabile considerato che, insieme con la ripresa dei colloqui del Mef con la Dg competition, abbiamo praticamente la conferma che per tenere in piedi la banca ci sarà bisogno di un massiccio aumento di capitale che finirà con l’azzerare le minoranze, cosa, peraltro, di cui si parla poco. Quindi, chi compra oggi rischia di diluirsi domani se non sottoscrive l’aumento”, dice al Foglio Fabrizio Bernardi, analista di Bestinver, il quale non vede ragioni plausibili per la mini pioggia di acquisti in Borsa su Mps se non guardando a un orizzonte ampio. “Il mio ragionamento è il seguente: il Mef potrebbe ottenere dall’Europa 18 mesi per privatizzare Mps rispetto al piano precedente. In questo lasso di tempo la banca dovrebbe: lanciare un aumento di capitale da 3 miliardi; azzerare i suoi crediti deteriorati e trasferire ad un’altra società pubblica i suoi rischi legali che sono superiori a 6 miliardi. E dopo l’operazione di pulizia, secondo il ragionamento di alcuni, Unicredit potrebbe diventare di nuovo un partner papabile per Siena. Ma l’amministratore delegato di Unicredit, Orcel, ha già detto chiaramente di essere fuori gioco per Mps. E poi a quel punto mi domando perché il Mef dovrebbe bussare di nuovo alla porta di Unicredit e non provare a vendere la banca al miglior offerente sul mercato”.
Dunque, per capire le ragioni del ritorno di interesse degli investitori per Mps bisogna cercare quello che di buono sta succedendo dalle parti di Siena dopo il tentativo fallito con Unicredit. Che non è il ritorno alla redditività poiché gli ultimi conti hanno dimostrato sì un aumento dei profitti, ma questi derivano più dal contributo di poste straordinarie che dal miglioramento della gestione operativa. E poi in un’epoca di tassi zero, i margini di manovra dal lato dei ricavi sono limitati e quindi la redditività deve essere recuperata dai costi agendo prevalentemente su quelli del personale che per una banca pubblica come Mps è un argomento spinoso. E allora? Il ritorno di appeal del Monte potrebbe essere dovuto al fatto che il mercato percepisce che la banca è stata messa dal governo Draghi su un percorso di risanamento dai confini definiti dal quale potrebbe nascere una realtà certamente ridimensionata, ma con un minimo di appetibilità. Ce la farà in 18 mesi? La Borsa fa il suo mestiere e comincia a scommetterci.