Viva la Corte che difende il mercato. Anche dall'Anac. Una sentenza
La libertà d’impresa non può subire “interventi che ne determinino un radicale svuotamento”, dice la Consulta. Adesso occorre un vigoroso impulso alla concorrenza, da parte del governo e del Parlamento. Altrimenti persisterà il ritardo accumulato in termini di sviluppo economico e civile
Dopo tante misure che imbrigliano l’economia e dispensano sussidi, finalmente la Corte costituzionale interviene a difesa dell’economia di mercato regolata, ma non guidata. Lo ha fatto con la sentenza n. 218 del 2021, censurando sia la legge con cui cinque anni fa si è data attuazione alle direttive dell’Ue riguardanti gli appalti pubblici e le concessioni, sia l’interpretazione che l’Autorità nazionale anticorruzione ne ha dato.
Per prima cosa, è bene ricordare perché in Italia il mercato non abbia ricevuto protezione. Nell’Assemblea Costituente, fu respinta la proposta di Luigi Einaudi di vietare i monopoli, anziché prevedere “piani e programmi”. Fu approvata la proposta sostenuta da Meuccio Ruini, che invocava proprio “controlli di squisita essenza interventista”. Negli anni successivi, quei controlli prevalsero. In Parlamento, bastò fare riferimento a un qualsiasi interesse pubblico per introdurre i “lacci e lacciuoli” che tanto nocquero alla libertà d’impresa, mentre non si lesinarono sovvenzioni.
Negli ultimi anni, sono sopraggiunti ulteriori controlli di matrice interventista. Contrariamente alle direttive dell’Ue, il legislatore italiano ha imposto ai concessionari pubblici l’obbligo di affidare una parte delle proprie attività ad altri. L’Anac ci ha messo del suo, adottando linee guida d’incerta efficacia, in parte interpretative, in parte vincolanti. Nel sollecitare l’intervento della Corte costituzionale, il Consiglio di stato ha osservato che queste linee guida hanno aggravato il problema. La Corte ha alfine fatto giustizia di questo groviglio di disposizioni di legge e di comandi amministrativi. Ha ribadito che si può limitare il libero esplicarsi dell’attività d’impresa in nome della concorrenza, ma soltanto nel quadro di un ragionevole bilanciamento degli interessi, senza imporre agli operatori obblighi che li costringano ad alterare repentinamente i propri programmi di azione e di investimento. Nelle parole della Corte, la libertà d’impresa non può subire “interventi che ne determinino un radicale svuotamento”, né si può richiedere che il concessionario si “tramuti”, in sostanza, in una stazione appaltante. Poiché quei vincoli erano irragionevoli e sproporzionati, bene ha fatto la Corte a dichiararli incostituzionali.
Non ci si può, tuttavia, accontentare d’intervenire sulle situazioni di punta, né che a farlo siano la Corte o il Consiglio di stato, com’è accaduto per le concessioni balneari. Occorre un vigoroso impulso alla concorrenza, da parte del governo e del Parlamento: per contrastare gli interessi costituiti; per facilitare la creazione di nuove imprese; per sollecitare riorganizzazioni delle attività economiche attualmente svolte, con benefici per i cittadini in termini di minori costi e di migliori servizi. Altrimenti, il ritardo accumulato negli ultimi decenni, in termini di sviluppo economico e civile, persisterà, anziché ridursi.