l'analisi del report
Rancorosi e no vax? Non solo. L'altra Italia nel rapporto del Censis
L'Istituto di sociologia fotografa un paese fobico, negazionista, cospirazionista, no tutto. Ma parla pure delle possibilità per il futuro: riprendere lo sviluppo, ripensare i corpi intermedi
Un’Italia rancorosa, fobica, negazionista, cospirazionista, no vax, no tutto: la pandemia ci ha cambiato, ma in peggio. Davvero siamo così? Il Censis che ci aveva abituato ad una fenomenologia sottile e trasversale questa volta va giù con l’accetta. Cede alla moda, si allinea al circo mediatico per “fare notizia”, si mette sull’onda dei social media proprio mentre il modello Facebook viene rimesso in discussione? Certo è che il rapporto di quest’anno colpisce per la sua elevata dose di pessimismo. “L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale”, scrive, ma si ha la sensazione che abbia infiltrato persino i sofisticati sociologi dell’istituto romano. Anche perché quando si guardano le cifre, quelle stesse fornite dal Censis, si vede che “il Covid non esiste per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni), per il 10,9% il vaccino è inutile, il 5,8% è convinto che la Terra è piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone”. Dunque una minoranza, spesso una fetta minima; del resto ben prima della stretta sul green pass tre quarti degli italiani erano già vaccinati con due dosi. Insomma, il Censis sceglie la parte per il tutto e conclude che è la minoranza a dare la linea e a segnare il profilo del paese in questo anno in cui comincia la transizione?
Alla facile obiezione “razionalista”, Giorgio De Rita e Massimiliano Valerii, il presidente e il direttore generale, replicano che si tratta di una più che legittima preoccupazione: “È la spia di qualcosa di più profondo: le aspettative soggettive tradite provocano la fuga nel pensiero magico - scrivono - Siamo nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Per l’81% degli italiani oggi è molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio. Il rischio di un rimbalzo nella scarsità: ecco i fattori di freno alla ripresa economica e le incognite che pesano sul risveglio dei consumi”. E ancora: “La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali”. Non è tutto, il Censis inanella tutti rischi di una ripresa che non nega (e come potrebbe), ma considera solo una fiammata momentanea, anzi “un rimbalzo nella scarsità”. E allora ecco l’inflazione, l’incognita sui consumi (che pure corrono come scrive lo stesso rapporto), le contraddizioni sul mercato del lavoro (“il gioco al ribasso tra domanda e offerta”), “la dissipazione delle competenze”, la “ricchezza privata e carità pubblica”, la precarietà, la disoccupazione giovanile, l’emarginazione delle donne. In questa geremiade non poteva mancare “il bello e il brutto di internet”. Finché non si arriva all’unico raggio di speranza: “la riscoperta della solidarietà”.
In realtà, se, navigando tra lo Sturm und Drang, si leggono alcuni passaggi meno a effetto, si arriva a quel che ci sembra la parte più succosa del rapporto: “Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione, l’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso e presentare un razionale programma di sviluppo. La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo, particolari e generali. Oggi questo non basta più”. In passato il Censis aveva criticato la spinta a cercare scorciatoie giacobine, la fiducia nell’uomo solo al comando, il rischio di soluzioni che calano dal cielo. Oggi che Mario Draghi per molti versi sembra un deus ex machina, apprezza il progetto al posto della spontanea evoluzione. In parte contraddicendo il suo stesso spontaneismo sociologico.
Le condizioni affinché il progetto decolli sono tutte da costruire: “La rimessa in asse di una progressiva razionalità richiede una forte coesione nazionale per affrontare in modo non ideologico le nuove e antiche povertà e disuguaglianze, per non restringere solo per paura o per principio l’accesso ai nuovi arrivati, per chiudere iniziative e interventi che hanno mancato il bersaglio e che inutilmente affollano il bilancio dello Stato”. E ancora: “Senza coscienza di sé non c’è qualità dello sviluppo. La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo, particolari e generali. Oggi questo non basta più. Senza una coscienza collettiva, coscienza di coscienze, capace di guardare dall’alto e lontano quel che la società chiede o attua, senza un’unitarietà di approccio agli investimenti sociali, senza immaginare una politica di sviluppo, il Paese rimane prigioniero delle sue fragilità”.
Per acquisire questa coscienza occorre un forte lavoro dal basso. E qui il Censis torna se stesso: “La consapevolezza di una società, semplificando, si misura nella progressione verso obiettivi e traguardi unitari e partecipati, nel progettare schemi e regole di funzionamento delle istituzioni senza vie di fuga o scorciatoie, nel sopportare trasformazioni strutturali in grado di colmare distanze di qualità, se non di conquistare il futuro. Tre linee di progressione rispetto alle quali pochi passi in avanti sembrano essere stati fatti… Riprendere lo sviluppo è anche riprogettare e ricostruire, anche fisicamente, i luoghi che ospitano il pensare e non solo le strutture espressamente deputate a questo scopo, ma anche i soggetti che per anni hanno svolto funzioni di mediazione: dai sindacati alle associazioni di categoria, dagli albi e casse professionali all’associazionismo, fino ai partiti politici”.
Si apre così un capitolo tutto da scrivere. E’ da un po’ che il Censis riflette al proprio interno e con interlocutori i più diversi sulla necessità di rilanciare i corpi intermedi (associazioni professionali, sindacati, partiti) come veicoli e strumenti dell’agire politico. Senza rimpianti per il consociativismo, né impossibili ritorni a politiche dei redditi (anche per il cambiamento strutturale dei soggetti sociali e dei redditi stessi). Tuttavia se l’uomo solo al comando è non solo un male, ma una illusione, e se il prossimo futuro sta nella progettualità, emerge l’esigenza di nuovi discorsi sul metodo e nuovi approdi istituzionali. Aspettiamo il prossimo rapporto.