La finta guerra sulle briciole del “contributo di solidarietà”
La maggioranza si divide sulla proposta di Draghi: meno tasse contro più equità. Ma in realtà la destra non si batte per ridurre la pressione fiscale (preferisce la spesa) e la sinistra evita di fare riforme in senso progressivo (vedi Rdc, caro bollette e Superbonus). Intanto i sindacati annunciano lo sciopero per il 16
Negli ultimi giorni i partiti hanno discusso animatamente sul “contributo di solidarietà”, poi saltato, a carico dei redditi più alti per contenere l’aumento del costo dell’energia a carico dei più poveri. L’intervento proposto da Draghi non era radicale. Più che di una nuova tassa, si trattava di una mancata riduzione delle tasse per i redditi oltre i 75 mila euro e per giunta di carattere temporaneo. Il valore del “contributo di solidarietà” era contenuto, circa 250 milioni di euro, e rispondeva a un obiettivo politico più che economico: andare incontro alle richieste dei sindacati – che auspicavano l’assenza di benefici dalla riforma dell'Irpef per i redditi più alti – al fine di evitare lo sciopero generale ora annunciato da Cgil e Uil per il 16 dicembre. Tanto è vero che quel contributo non era determinante per intervenire sul “caro bolletta” che, una volta tramontata l’ipotesi, il governo ha trovato in pochi minuti 300 milioni. Eppure, nonostante fosse una misura marginale, ha acquisito un valore simbolico tale da far dividere il governo: chi vuole meno tasse per tutti (Lega, FI, Iv e mezzo M5s) e chi più equità sociale (Pd, Leu e l’altra metà del M5s). La classica divisione tra destra e sinistra, insomma.
Un dibattito naturale e anche auspicabile in una democrazia matura, che però in Italia sconta due problemi. Il primo è che dovrebbe avvenire tra forze contrapposte e non alleate, ma ciò dipende dall’eccezionalità del governo Draghi. Il secondo è che in realtà si tratta di una divisione finta, sulle briciole, mentre c’è stata piena condivisione sul resto di una manovra che non ha perseguito in fondo nessuna delle due linee: né meno tasse né più equità.
Perché quella sul contributo di solidarietà è una finta guerra sulle briciole
Da un lato, infatti, il governo era nato annunciando una riforma fiscale epocale e incisiva (Draghi evocò la Danimarca, che ha attuato una riforma fiscale organica riducendo la pressione fiscale di due punti di pil). Ma la riforma organica non c’è, è rinviata al futuro, e al suo posto c’è un primo “modulo” che vale circa mezzo punto di pil e un terzo della manovra. Le forze di centro e di centrodestra che ora si battono per difendere una riduzione delle imposte da 20 euro al mese sui redditi elevati, forse avrebbero dovuto farlo prima per pretendere un intervento più corposo e incisivo a favore non solo delle persone fisiche ma anche delle attività produttive. Evidentemente anche loro hanno preferito provvedimenti di spesa, sui quali si costruisce più facilmente il consenso. Dall’altro lato, le forze di sinistra che predicano una maggiore progressività e interventi a favore delle fasce più povere, avrebbero potuto mostrare quanto concrete siano le loro intenzioni redistributive riformando diversi capitoli della spesa pubblica, già molto sostanziosi, che sono stati potenziati dalla legge di Bilancio. Si possono fare tre esempi.
Tre esempi che sconfessano le volontà redistributive dei partiti
Il primo è proprio il caso del “caro bollette”. Per fronteggiare i rincari di luce e gas, il governo ha stanziato oltre 6 miliardi. Le risorse sono state impiegate, tra le altre cose, per ridurre gli oneri di sistema e abbattere l’Iva. Questi interventi sono problematici per due aspetti: da un lato distribuiscono le risorse erga omnes, senza alcun criterio di equità o progressività, e garantiranno ai redditi sopra i 75 mila euro un beneficio forse superiore ai 20 euro al mese di riduzione dell’Irpef; dall’altro sono contraddittori rispetto alla transizione ecologica, perché mentre si punta ad aumentare il costo delle fonti fossili per contrastare il cambiamento climatico il governo sterilizza il segnale di prezzo appena il costo dell’energia aumenta.
Il secondo esempio è il Reddito di cittadinanza (RdC). Le forze cosiddette “progressiste” avevano una grande opportunità per riformare un sussidio nato storto, in modo da distribuire meglio le risorse, ad esempio a favore delle famiglie numerose ed extracomunitarie, che sono quelle a maggiore rischio di povertà e penalizzate dal Rdc. E invece, con un progressista come Andrea Orlando al ministero del Lavoro, per il Rdc è stato aggiunto 1 miliardo di spesa ma senza cambiare praticamente nulla. Non è stata neppure inserita una piccola riduzione della tassa sui poveri che lavorano, che ha un’aliquota tendente al 100 per cento. Anche in questo caso si trattava di una misura da poche centinaia di milioni, ma la sinistra e i sindacati si sono battuti di più per alzare le tasse ai ricchi che per abbassarle ai poveri.
Il terzo caso riguarda il Superbonus 110%. Si tratta di una spesa fiscale abnorme, addirittura superiore al valore dei lavori, che ha gonfiato i prezzi nell’edilizia e di cui beneficeranno prevalentemente le fasce più benestanti. Stiamo parlando di interventi da centinaia di migliaia di euro per ogni immobile per una spesa complessiva di circa 30 miliardi, niente a che vedere con le briciole del “contributo di solidarietà”. Eppure quando il ministro dell’Economia Daniele Franco ha cercato di ricondurre il bonus edilizio a maggiore equilibrio e razionalità economica, il M5s si è battuto per allentare i cordoni della borsa quanto più possibile e il Pd si è silenziosamente allineato.
Quando la passione per le tasse prevale sull’attenzione a come il gettito raccolto viene speso, si finisce con il voler togliere 20 euro al mese ai "ricchi" per poi pagargli senza problemi le bollette e i lavori di ristrutturazione.