Perché Biden teme che sull'inflazione abbia ragione Summers
I prezzi tornano a salire, la Fed minaccia una stretta controproducente, mentre il pil mondiale singhiozza e rispunta la paura per la stagflazione, il micidiale aggregato di stagnazione e inflazione. Le profezie dell'ex segretario al Tesoro americano sembrano farsi realtà
Allora vuoi vedere che aveva ragione Larry Summers? In molti lo stanno pensando anche tra chi è rimasto deluso dalla sua teoria della “stagnazione secolare”. Una provocazione intellettuale che ha suscitato grande dibattito tra i luminari della triste scienza, ed è rimasta in minoranza per otto lunghi anni. Oggi i prezzi tornano a salire, la Federal Reserve minaccia una stretta controproducente, mentre il pil mondiale singhiozza e rispunta la paura per la stagflation, il micidiale aggregato di stagnazione e inflazione. Le profezie di Lawrence Summers, così, sembrano farsi realtà.
Figlio di due economisti, nipote di due Nobel come Paul Samuelson e Kenneth Arrow, è stato docente a Harvard (università della quale è diventato poi presidente), capo economista alla Banca Mondiale, segretario al Tesoro durante il secondo mandato di Bill Clinton dal 1999 al 2001; è una delle menti più brillanti della nuova macroeconomia keynesiana e anche oltre, un guru per i Democrats. Nel 2013, proprio mentre cominciava un boom che si è spento solo con la pandemia, ha spiazzato tutti sostenendo che dobbiamo aspettarci una lunghissima fase di crescita modesta, attorno all’un per cento. Ma quale stagnazione, hanno replicato i suoi critici, con una rivoluzione tecnologica travolgente e una crescita formidabile soprattutto in America, in Germania, e nell’Asia trascinata dalla Cina. Summers, però, non guardava solo alla congiuntura né ragionava con le regolette della politica monetaria e fiscale; analizzava invece alcuni cambiamenti strutturali come l’invecchiamento della popolazione che colpisce ormai anche la Cina riducendo la forza lavoro disponibile.
Una delle obiezioni più stringenti è che Summers sottovalutata l’impatto positivo dell’innovazione tecnologica, soprattutto ora che si è avviata una colossale transizione da un modello produttivo a un altro. Tuttavia la pandemia ha messo in luce i punti deboli della catena produttiva forgiata dalla globalizzazione. Il circuito s’è interrotto e nel momento in cui la domanda si rimette in moto l’offerta non è in grado di rispondere, ciò spinge in alto i prezzi e riduce la produzione per mancanza di forniture.
Che fare? Si è da poco concluso a Washington D.C. il summit annuale della Global Trade & Innovation Policies Alliance che riunisce think tank liberali di mezzo mondo, dedicato alle fragilità delle filiere produttive. La conclusione è che il problema non si risolve tornando a casa, cioè preferendo la localizzazione, ma costruendo “filiere intercambiabili e quindi diversificabili, visibili e tracciabili in tutti i passaggi e i meccanismi. Filiere intelligenti anche grazie all’utilizzo della tecnologia digitale e dell’intelligenza artificiale”. Vasto programma e nel frattempo?
La politica economica resta sospesa tra l’esigenza di impedire che l’inflazione prenda piede e la necessità di non soffocare la ripresa. Un dilemma che negli Usa si è fatto più stringente. Il presidente Biden ha lanciato un’espansione finanziata dal governo. Deve ancora convincere il Congresso dove i repubblicani fanno fuoco e fiamme. L’inflazione, intanto, è arrivata al 6 per cento e può sfuggire di mano. Far pagare parte delle spese con aumenti delle imposte sia pure sui redditi più elevati ha un impatto negativo se le tasse si scaricano sui prezzi e s’invertono le aspettative. Jay Powell, il presidente della Federal Reserve confermato da due settimane, può dare una mano con una cauta inversione della politica monetaria, ma rischia di raffreddare la crescita. E un costo del denaro più elevato potrebbe scoraggiare proprio gli immensi investimenti necessari per la transizione energetica. Qui il piano del presidente si scontra con i potenti interessi delle compagnie minerarie e petrolifere oltre che delle comunità locali che prosperano grazie al carbone e soprattutto allo shale oil e gas, proprio in quel Midwest così ostile ai Democratici. Un’equazione con tante, troppe incognite.
Se gli Stati Uniti scivolano davvero verso la stagflazione, Biden può perdere del tutto il Congresso. Allora Summers rischia di diventare un profeta sì, ma di sventure.