I sindacati che non vedono il macigno previdenziale
Cgil e Uil chiedono più risorse per le pensioni, a cui il governo il governo ha dedicato persino troppe risorse. L'Italia ha la spesa previdenziale più alta al mondo, una popolazione che invecchia e bassa natalità. Così il futuro resterà schiacciato
Lo sciopero generale proclamato dalla Cgil e dalla Uil per il prossimo 16 dicembre ha un lungo elenco di motivazioni, ma l’obiettivo principale della manifestazione sono sicuramente le pensioni. Non fosse altro perché è uno degli argomenti sul quale c’è ancora qualche spiraglio di dialogo con il governo con un “tavolo di confronto” che era stato annunciato e che al momento è rinviato. I leader sindacali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri hanno scelto la prova di forza della piazza proprio per mettere pressione sui partiti e riuscire a ottenere altre risorse per le pensioni, ulteriori rispetto a quelle già previste in legge di Bilancio per rivalutazione piena degli assegni, aumento delle detrazioni, allargamento dell’Ape sociale, Opzione donna e Quota 102. Evidentemente per i sindacati non è abbastanza.
Prima però di fare ulteriori concessioni, governo e Parlamento dovrebbero analizzare bene lo stato del sistema pensionistico e le prospettive future, anche alla luce dell’andamento demografico del paese, per capire se sia opportuno impiegare altre risorse sulle pensioni o se non sia preferibile concentrarsi su altre priorità. Una mappa della situazione la offre il rapporto dell’Ocse “Pensions at glance 2021”, pubblicato tre giorni fa. Il quadro è preoccupante. L’Italia è il paese con la spesa previdenziale più alta del mondo: un terzo di tutta la spesa pubblica, oltre il 16 per cento del pil, un dato che salirà al 18 per cento nel 2035. L’Italia è inoltre il paese europeo (escluso il piccolo Lussemburgo) in cui i pensionati stanno meglio rispetto al resto della popolazione. Il reddito degli over 65 è pari al 100 per cento del reddito medio nazionale, contro una media Ocse dell’88 per cento. A colpire non è solo il livello, ma la variazione. Dal 2000 questo rapporto è cresciuto in media di 6 punti in 32 paesi Ocse, mentre in Italia è aumentato più del doppio: 15 punti. Vuol dire che negli ultimi 20 anni di crisi e stagnazione, i pensionati hanno notevolmente migliorato i propri redditi rispetto agli altri italiani.
Questo trend si riflette sui dati della povertà. Rispetto al 2000, i poveri tra gli over 65 sono il 5,6 per cento in meno, mentre sono aumentati in tutte le altre fasce d’età: più 5,2 per cento tra 0-17 anni; più 2,9 per cento tra 18-25 anni; più 3,5 per cento tra 26-65 anni. E’ vero che l’Italia ha fatto importanti riforme per alzare l’età pensionabile (e per fortuna), ma anche se il limite anagrafico fissato dalla riforma Fornero per andare in pensione è di 67 anni, l’età effettiva media di pensionamento arriva molto prima: 62 anni (circa due in meno della media Ocse). L’Italia, inoltre, ha un tasso di occupazione tra i lavoratori anziani molto più basso della media Ocse.
A questi problemi se ne aggiunge un altro strutturale: la demografia. L’Italia ha il tasso di fecondità più basso (1,3 figli per donna) e una popolazione che invecchia rapidamente: in 30 anni quasi raddoppierà il rapporto tra anziani e popolazione in età lavorativa (nel 2050 ci saranno 74 over 65 ogni 100 persone tra 20-64 anni, ora ce ne sono 39). Il sistema sarà sempre più pesante e costoso da mantenere, ma già oggi in Italia si pagano i contributi previdenziali più alti del mondo: 33 per cento.
Il governo ha già speso troppo per le pensioni. Ciò che bisogna fare è aumentare l’occupazione di giovani e anziani, investire in ricerca e istruzione, irrobustire il welfare per le famiglie per sostenere le nascite e tagliare tasse e contributi per chi lavora. Altrimenti, al netto delle tante belle parole che riempiono le brochure del Pnrr, alla Next generation resterà solamente il debito pubblico da pagare.