Prime la concorrenza
L'Antitrust sembra tutelare i concorrenti di Amazon più che i consumatori
L’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha multato il colosso della logistica per la stratosferica somma di 1 miliardo e 128 milioni di euro, per abuso di posizione dominante. Ma alla base dell'accusa potrebbe esserci un grosso fraintendimento. Ecco perché
L’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha multato Amazon per la stratosferica somma di 1 miliardo e 128 milioni di euro per abuso di posizione dominante. L’abuso consisterebbe nel fatto che, subordinando l’accesso dei venditori al programma “Prime” all’utilizzo dei propri sistemi di logistica, Amazon avrebbe discriminato i concorrenti. L’intervento del Garante tutela dunque questi ultimi: ma, in tal modo, promuove anche la concorrenza e l’interesse dei consumatori?
Dalla lettura delle pagine dell’istruttoria appare evidente come il centro dell’intera attività di Amazon sia il consumatore finale, contrariamente a quanto accade per i marketplace concorrenti che considerano i venditori che agiscono sulla propria piattaforma i clienti di riferimento. Per raggiungere la massima soddisfazione dei consumatori finali, Amazon ha necessità di controllare completamente il processo di consegna, riducendo al minimo le inefficienze e garantendo così tempi rapidissimi e soluzioni efficaci per eventuali disguidi. Per far questo la società di Jeff Bezos preferisce non rischiare che i venditori terzi agiscano in autonomia nella logistica e li incentiva ad acquisire i propri servizi per trattare i prodotti ceduti da questi ultimi allo stesso modo di quelli che Amazon vende direttamente. Per mantenere elevati gli standard di qualità Amazon ha pertanto costituito un unico ecosistema in cui fornitori di servizi e clienti della piattaforma hanno una discrezionalità minima e si affidano alla multinazionale per quanto riguarda la gestione logistica dei prodotti.
Alla base dell’accusa dell’Antitrust c’è, però, un grosso fraintendimento: l’integrazione della logistica nel programma “Prime” non ne è un elemento separato e distinto. È, al contrario, il cuore del modello di business del gruppo di Seattle. L’adesione al programma, peraltro, migliora le prestazioni dei venditori stessi, dando accesso a ulteriori prestazioni che possono anche ridurne i costi. L’adesione al programma è incentivata ma non obbligatoria, la piattaforma di Amazon è dominante ma non è l’unica, la ratio gestionale della relazione che si instaura con i clienti e i fornitori di servizi è chiara e del tutto razionale. L’effetto è certamente quello di mettere sotto pressione gli altri marketplace concorrenti che, per minori dimensioni o per minori capacità, non riescono a offrire vantaggi comparabili né in termini di efficienza del servizio né di possibile platea di clienti da raggiungere. Ma, si presume, è proprio questo il senso della concorrenza.
Non è un caso che in paesi diversi ci siano piattaforme locali che sono leader di mercato, quali Alibaba per la Cina e Mercado Libre per il Sudamerica, imprese che sono riuscite a posizionarsi presso il consumatore finale facendosi percepire come diverse rispetto ad Amazon e riuscendo a prosperare. L’Antitrust non spiega in modo persuasivo perché la presunta limitazione della concorrenza sarebbe un problema per i consumatori finali che, non a caso, sono citati una sola volta nel comunicato stampa e sembrano giocare un ruolo del tutto marginale in questa vicenda.
Quanto meno, questo caso aiuta a fare chiarezza su un aspetto cruciale. Da tempo, infatti, l’Autorità presieduta da Roberto Rustichelli conduce una battaglia contro le “big companies”, a cui contesta sia la concorrenza fiscale sleale (tema peraltro non di sua competenza), sia l’abuso di dipendenza economica. Su questo fronte, da tempo chiede norme più severe: e la sua tesi deve aver fatto breccia, visto che l’articolo 29 del ddl concorrenza prevede proprio la presunzione di colpevolezza per le piattaforme. Ecco: la multa record dimostra che, al massimo, qui c’è un abuso di normazione. L’Autorità ha gli strumenti per rintracciare le presunte scorrettezze e può infliggere sanzioni super severe. Certo, deve dimostrare l’esistenza di condotte illecite e articolare una teoria del danno. L’inversione dell’onere della prova per le Big Tech renderebbe tutto molto più semplice per il Garante. Parafrasando Pascal: poiché non si poteva trovare la giustizia, si è inventato il potere.