Antitrust anti amazon
Perché la multa ad Amazon non convince e sembra figlia del protezionismo
In contrasto con la prassi commerciale quotidiana di centinaia di migliaia di aziende in Italia e in Europa, l’Antitrust ha stabilito che la multicanalità non esiste e che la piattaforma di Amazon è insostituibile per i merchant
Sono servite 250 pagine all’Antitrust per provare a dimostrare che Amazon abusa dei venditori sul proprio marketplace e quindi merita 1 miliardo e 128 milioni di multa. La più grande piattaforma di e-commerce d’Italia e d’Europa, che ha garantito la continuità della distribuzione durante la pandemia e ha contribuito al benessere di milioni di famiglie, aumentando a dismisura la gamma di prodotti accessibili a prezzi molto convenienti, è ritenuta responsabile di avere imposto condizioni non concorrenziali alle migliaia di retailer per l’utilizzo della piattaforma logistica proprietaria. Sia lecito qui dubitare del pur dettagliato e molto articolato lavoro svolto dall’Autorità. A una prima lettura del dispositivo, salta all’occhio un certo livello di arbitrio, con argomentazioni metodologicamente non convincenti e spesso meramente circostanziali, nella definizione economica e geografica del mercato rilevante, nonché nella natura del presunto abuso e nelle modalità di calcolo della sanzione.
La tesi centrale su cui poggia la decisione dell’Antitrust è che il marketplace di Amazon non sia sostituibile per i venditori che se ne servono, né con il proprio sito web, né con altre piattaforme e siti di e-commerce, né con i tradizionali canali di vendita offline. Ohibò. In contrasto con la prassi commerciale quotidiana di centinaia di migliaia di aziende in Italia e in Europa, l’Antitrust ha in sostanza stabilito che la multicanalità non esiste e che la piattaforma di Amazon è insostituibile per i merchant. Sulla base di questa asserita assenza di alternative praticabili, i retailer sarebbero stati costretti a utilizzare i servizi di logistica di Amazon per accedere al segmento “Prime”, quello che per milioni di consumatori ha raggiunto vette leggendarie nel livello di servizio e nella tempestività di consegna. La tesi è economicamente ardita, se non temeraria, e non appare empiricamente sostenuta dagli effetti rilevabili sui prezzi. Ma spetta ad Amazon, e non a queste poche e necessariamente frettolose righe, cercare di confutarla nelle sedi opportune.
Rimane qui il legittimo dubbio che la pur doverosa battaglia delle autorità di garanzia della concorrenza e del mercato contro i possibili abusi delle grandi piattaforme digitali stia finendo sulla pericolosa china di una forma non dichiarata di protezionismo per trasversale via giuridica, invece che per la più compromettente ma diretta via politica e istituzionale. Dal coordinamento emerso tra l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) e la Commissione europea, la quale si è immediatamente spesa a sostegno della decisione di Agcm, prende forma il disegno di un’Europa che, dopo avere perso quasi tutti i treni dell’economia digitale per insipienza delle istituzioni e per fragilità e frammentarietà del sistema finanziario e competitivo del Vecchio continente, cerca di riguadagnare spazio politico a suon di multe.
Inoltre, se si afferma la prassi di stabilire ex post definizioni quanto meno discutibili – se non arbitrarie – dei mercati rilevanti rispetto ai quali dimostrare possibili abusi di posizione dominante, si otterrà l’effetto di rendere molto difficile la vita agli innovatori, penalizzando il successo che genera efficienza e maggior benessere per i consumatori, e finendo così paradossalmente per tutelare l’interesse dei produttori locali più tradizionali. Sarebbe più rassicurante, per chi ha a cuore le prospettive di sviluppo sostenibile in Italia e in Europa, vedere che le autorità si impegnino a creare un ambiente favorevole agli investimenti in tecnologie e processi innovativi, invece che provare ad azzoppare i concorrenti più bravi affinché i claudicanti attori locali dell’offerta possano recuperare un po’ del terreno miseramente perduto.