La finta lotta della sinistra per la progressività

Luciano Capone

Superbonus, bonus facciate, bonus mobili. Il Pd ha parlato tanto del “contributi di solidarietà” sui ricchi, ma nella pratica di governo ha aumentato tutte le spese più regressive togliendo i paletti messi da Draghi

Quanto si è discusso del “contributo di solidarietà”. Per molti giorni la “tassa” che sterilizzava per un anno la riforma fiscale per i “ricchi” (redditi oltre i 75 mila euro) è stata una misura fondamentale per le sorti politiche del paese: il simbolo della lotta alle disuguaglianze. A un certo punto, era quasi parso che la misura proposta da Mario Draghi, dal valore di circa 250 milioni di euro, potesse servire a evitare lo sciopero generale di Cgil e Uil che avevano innalzato il taglio delle tasse ai ricchi come emblema della politica da “Robin Hood al contrario” (copyright Bombardieri) del governo. E il Pd, nonostante avesse siglato con i partiti di maggioranza quell’accodo sulla riforma fiscale e sebbene neppure il M5s fosse proprio favorevole alla nuova tassa, ha accusato FI, Lega e Iv di aver affossato il “contributo di solidarietà,” rimarcando così qual è il solco che separa “le destre” dalla sinistra. E’ lì, sul tema della redistribuzione, che si vede la differenza.

 

In realtà si è trattato solo di una contrapposizione simulata, più simile a una lotta di wrestling che a un incontro di boxe. Perché poi sui fondamentali, sulle grosse cifre, la sinistra è andata molto d’accordo con “le destre”. Ad esempio quando si è trattato di affossare i tentativi di Draghi di abolire o quantomeno limitare i provvedimenti di spesa più dissennati e regressivi. Il caso più eclatante è quello del Superbonus: una misura “semplicemente non sostenibile e distorsiva”, come l’ha definita il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio Giuseppe Pisauro su lavoce.info, che avvantaggia “in misura sproporzionata i più ricchi”. Si tratta di un provvedimento concepito e partorito nel “campo largo” rossogiallo. D’altronde un credito d’imposta del 110% poteva venire in mente solo al M5s, ma il Pd l’ha prima approvato e poi ha contribuito a rimuovere i paletti che Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco avevano tentato di fissare: l’ultimo è stato il limite Isee di 25 mila euro per le villette unifamiliari. Saltato. La misura costa 350 milioni per un anno, molto di più del “contributo di solidarietà”, e consentirà anche al 30% più ricco di ristrutturare gratis la casa (altro che i 20 euro al mese previsti dalla riforma fiscale).

 

Posizione analoga il Pd l’ha avuta sul “bonus facciate”, che è riservato principalmente ai proprietari più ricchi dei centri urbani e dei centri storici (la ztl, insomma). Ebbene, Draghi l’aveva eliminato, ma il ministro della Cultura Dario Franceschini è riuscito a farlo rientrare dalla finestra sebbene ridotto dal 90 al 60% (ma senza limiti di spesa). Costo: un paio di miliardi. Chi si rifà la casa col Superbonus e gli esterni col bonus facciate, per gli interni potrà usufruire del “bonus mobili” innalzato da 5 a 10 mila euro.

 

Con tutti questi soldi spesi per i ricchi, sono venuti a mancare quelli per i poveri. Draghi aveva inserito una riduzione del 20% dell’aliquota implicita del 100% sui percettori di Reddito di cittadinanza che lavorano, ma il taglio della tassa è stato tolto. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando non ha trovato le risorse. L’impressione è che a guidare il Pd non sia la “progressività”: è che a sinistra alla riduzione delle tasse si preferisce sempre l’aumento della spesa. Anche se poi finisce ai ricchi. Anzi, tanto meglio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali