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Il Superbonus e il problema dell'assenza di un costo apparente
Un beneficio indiscriminato: saranno i contribuenti a saldare il conto. Volano i prezzi dei materiali, esigui i vantaggi ambientali
La tenacia con cui i partiti che sostengono il governo Draghi hanno spinto, per poi ottenere, l’eliminazione dalla legge di Bilancio 2022 dei limiti al Superbonus 110 per cento che nelle prime versioni della manovra il Consiglio dei ministri aveva inserito ci racconta un paio di cose sullo stato della politica italiana.
Prima di tutto dell’insipienza economica che contraddistingue i partiti, in particolare il Movimento 5 stelle che più di tutti ha spinto per cancellare i limiti di reddito ed estendere la misura. Il Movimento si vanta peraltro della paternità dello sconto fiscale e utilizza una parola precisa per descrivere la misura: “rivoluzione”. Lo fa per esempio Riccardo Fraccaro, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Sul blog di Grillo presentava il Superbonus come “una rivoluzione per l’economia e l’ambiente”. Sarebbe infatti riuscito a creare “un virtuoso meccanismo di mercato in cui i cittadini effettueranno lavori di ristrutturazione senza alcun esborso, le Pmi lavoreranno di più grazie ai maggiori incentivi, gli istituti di credito o le grandi imprese pagheranno meno tasse e lo stato vedrà aumentare l’occupazione e il pil”. Se davvero tutto questo si fosse realizzato, il Movimento 5 stelle sarebbe stato certamente in lizza per il premio Nobel per l’Economia. Se tale circolo virtuoso esistesse per davvero il Superbonus non avrebbe sostanzialmente alcun costo, visto che ci guadagnerebbero i proprietari di casa, le imprese, le banche, l’ambiente e pure il bilancio dello stato. Non si comprende allora perché sono stati stanziati solo – si fa per dire – 33 miliardi di euro per regalare le ristrutturazioni edilizie, e non 100, o 1.000 miliardi. Ma non è una novità: qualche mese fa Laura Castelli aveva scritto su Facebook che pure il cashback “è una misura che si autofinanzia”. Soldi che crescono sugli alberi.
L’assenza di un costo apparente non è solo un problema per il Movimento 5 stelle, ma anche per il mercato immobiliare. Rende infatti inutile ogni contrattazione tra il cliente e l’impresa edile: né uno né l’altro dovrà in definitiva pagare gli interventi di ristrutturazione. A saldare il conto saranno infatti i contribuenti. Con l’effetto che i prezzi per i materiali necessari alle ristrutturazioni sono esplosi: secondo il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili nei primi sei mesi del 2021 le aziende edili hanno pagato il ferro il 44 per cento in più, i laminati in acciaio il 48, i fili di rame il 33, il bitume il 18 per cento in più rispetto alla media del 2020. A questo ha ovviamente contributo in buona parte il rialzo globale dei prezzi delle materie prime e dei costi di trasporto: una seria condizione di colli di bottiglia e di eccesso di domanda che avrebbe dovuto convincere governo e Parlamento (e pure Commissione europea, che ha invece inspiegabilmente inserito la misura tra le best practice) a rivedere i regali all’edilizia, che non potevano che peggiorare una condizione già surriscaldata.
Saranno gli italiani a doversi far carico di questa montagna di soldi, ripagando il debito pubblico con cui è stato finanziato il Superbonus. Non possiamo dunque non prendere in considerazione l’effetto redistributivo. Se è chiaro che a pagare saremo tutti noi nella dichiarazione dei redditi, a chi stiamo regalando soldi pubblici? Ce lo dicono i dati relativi alle precedenti detrazioni a favore di ristrutturazioni e abbellimento delle facciate: come ha ricordato Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, oltre la metà delle risorse è andato al 15 per cento più ricco dei contribuenti (il top 1 per cento otteneva il 10 per cento delle risorse). Tra i beneficiari del Superbonus compare anche un castello in Piemonte, il cui proprietario si è ritrovato sotto l’albero un regalo di oltre un milione di euro da parte dei contribuenti. E questo è il secondo insegnamento che possiamo trarre per la politica italiana: buona parte dei partiti presenti in Parlamento – Movimento 5 stelle in testa – ambisce a parole ad aiutare le fasce più deboli della popolazione, attraverso aiuti dal welfare e sconti fiscali mirati. Eppure nella pratica ipotecano due punti di pil di spesa pubblica a favore di proprietari immobiliari mediamente benestanti se non ricchi. A dimostrazione che per i partiti ormai non c’è più constituency che tenga: per rosicchiare qualche voto in più nel sistema paludato del proporzionale ogni sconto fiscale va bene, anche se in palese contraddizione con la narrazione dominante. Tanto si paga tra qualche anno, a debito.
E i benefici ambientali? Secondo l’ultimo report di Enea, la spesa pubblica fino al 30 novembre ammontava già a più di 13 miliardi di euro, per un totale di circa 70 mila cantieri. Che corrispondono allo 0,54 per cento delle abitazioni unifamiliari e allo 0,87 per cento dei condomini presenti in Italia. Carramba che vantaggio per l’ambiente!