La transizione ecologica spinge Iveco a debuttare in Borsa
Si chiude in rosso la quotazione della prima matricola dell'anno a Piazza Affari. Eppure la società torinese si presenta bene agli occhi degli investitori, da cui cerca fiducia e finanziamenti per rendere più verde e sostenibile la sua flotta in vista degli obiettivi europei
A 47 anni dalla nascita Iveco debutta in Borsa e diventa la prima matricola di Piazza Affari del 2022. Era infatti il primo gennaio del 1975 quando dalla fusione di tre aziende italiane – Fiat Veicoli Industriali, la gloriosa OM, fondata nel 1847, e Lancia Veicoli Speciali – una francese, la Unic, e una tedesca, la Magirus-Deutz, nasceva l’Industrial Vehicles Corporation: l’Iveco, appunto, focalizzata nella produzione di veicoli industriali e autobus.
La quotazione – chiusa con un prezzo per azione inferiore del 9,1 per cento rispetto a quello di riferimento, indicato a 11,22 euro – arriva dopo il mancato accordo, a metà aprile 2021, con il colosso cinese Faw Jiefang e Cnh Industrial che avrebbe previsto la cessione di Iveco per un valore attorno ai 3,5 miliardi. Un accordo mal visto dal governo italiano, come si intuisce facilmente dalle dichiarazioni di allora del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: “Accogliamo con favore e valutiamo positivamente la notizia del mancato perfezionamento della trattativa tra Cnh e Faw Jiefang per la vendita di Iveco. Il governo italiano ha seguito con attenzione e attiva discrezione tutta la vicenda, perché ritiene la produzione di mezzi pesanti su gomma di interesse strategico nazionale”.
Tuttavia, la decisione di valorizzare sul mercato le attività di Iveco, più orientate alla strada rispetto alle altre del gruppo Cnh Industrial che produce anche macchine agricole, a Modena e Jesi, e macchine da costruzione, a Torino e Lecce, risale al piano industriale di settembre 2019 e, al di là delle alchimie finanziarie, trova fondamento nella contestuale spinta alla transizione energetica ed ecologica.
Proprio a giugno dello stesso anno in Europa veniva approvato il regolamento 1242 che per la prima volta nella storia ha fissato degli obiettivi in materia di contenimento delle emissioni di CO2 per i veicoli pesanti, inclusi autocarri, autobus e pullman, imponendo ai costruttori di ridurre del 15 per cento le emissioni dei veicoli prodotti e venduti, a partire dal 2025 e del 30 per cento a partire dal 2030, rispetto ai livelli del 2019.
Il regolamento replica nelle finalità, nella struttura e nelle modalità applicative, incluse le onerose sanzioni, quanto già previsto nel 2009 per automobili e veicoli commerciali leggeri, un segmento in cui queste norme hanno rappresentato la principale spinta per l’attuale diffusione delle auto elettriche e che si prefiggono di fare lo stesso anche nel campo dei veicoli industriali. E così come è stato per le case automobilistiche, serviranno anche in questo caso ingenti investimenti. Da qui la necessità di finanziarsi, ricercando capitali anche sul mercato. E anche se ieri il titolo è partito male, sul fronte della transizione energetica la società torinese si presenta piuttosto bene.
Intanto, Iveco, che ha impianti e centri di ricerca in 36 paesi, in Italia a Brescia, Suzzara, Foggia e Bolzano, è un marchio piuttosto noto (indimenticato e tuttora celebrato il suo TurboStar) e dunque appetibile anche per i piccoli investitori. E’ leader nei veicoli a gas naturale, compresso e liquefatto, destinati a diventare sempre più bio e ha già inaugurato l’impianto di Ulm, in Germania dove verrà realizzato in joint-venture con gli americani di Nikola Corporation il trattore stradale con motore elettrico, sia con batterie a litio che con fuel cell, alimentate a idrogeno. Le premesse sono buone, anche se la sfida è tutt’altro che semplice.