Via al Risiko
Il 2022 sarà decisivo per le sei grandi partite del potere finanziario-industriale italiano
Tim, Generali, Rai-Mediaset, Autostrade, Mps, nuova Alitalia: tutte coinvolgono il governo. Mediobanca invece resta defilata
Le grandi partite del potere finanziario-industriale in questo 2022 sono sei: Tim, Generali, Rai-Mediaset, Autostrade, Mps, nuova Alitalia. Tutte coinvolgono in qualche modo il governo. Invece, Mediobanca è fuori o gioca in difesa (innanzitutto di se stessa, come in Generali). C’è già chi evoca gli anni 90, le privatizzazioni, il mitico Britannia dove “noi non c’eravamo” come lamentò Enrico Cuccia per bocca del suo pupillo Vincenzino Maranghi. Il filo rosso, dunque, porta a Mario Draghi che aprì le porte alle banche d’affari straniere? O allo spirito dei tempi, a un cambiamento epocale rispetto al quale Mediobanca ha perso la sua centralità? Alberto Nagel ha trasformato la banca d’affari in una piattaforma finanziaria, ma deve crescere. Invece è impegnato a respingere gli attacchi interni (Del Vecchio) ed esterni (i grandi concorrenti anglo-americani).
Il presidente di Tim Salvatore Rossi e il direttore generale Pietro Labriola hanno scelto come advisor la relativamente piccola Lion Tree specializzata nelle telecomunicazioni che ha già assistito Hutchison per Wind, e il colosso Goldman Sachs. Con Kkr ci sono JP Morgan, che in Europa è guidata da Vittorio Grilli, Morgan Stanley e Citigroup, veri pezzi da novanta nelle guerre di mercato. Se il fondo americano lancerà davvero un’Opa (finora è solo “potenziale”) i tre campioni americani sosterranno una controfferta di Vivendi, il principale azionista, appoggiato dal fondo Cvc e dalla Cassa depositi e prestiti che sostiene l’attuale vertice di Tim. Di qui ai primi di marzo quando verrà presentato il nuovo piano industriale ci saranno solo scaramucce in quella che è per ora una guerra di posizione.
JP Morgan è in campo anche al fianco di Leonardo Del Vecchio. Lo ha sostenuto insieme a Unicredit nell’acquisto del 19 per cento di Mediobanca un pacchetto strettamente collegato alla scalata delle Generali.
Anche in questo caso gennaio passerà in trincea, con sortite continue da parte del patron di Luxottica che settimana dopo settimana arrotonda la sua posizione: è arrivato a detenere il 6 per cento del Leone di Trieste, ma insieme agli altri esponenti del patto (cioè Caltagirone e la Fondazione Cassa di risparmio di Torino) s’avvicina al 16, mentre Mediobanca con i suoi alleati come De Agostini raccoglie il 18,6 per cento. Il 9 febbraio si conosceranno le due liste in competizione all’assemblea del 29 aprile. Piazzetta Cuccia che sostiene l’attuale amministratore delegato Philippe Donnet, finora ha protetto bene le sue posizioni evitando anche censure della Consob per il funambolico prestito titoli del 4,42 per cento che ha consentito a Nagel di aumentare la sua quota. Ma siamo di fronte a una sfida all’ultima azione.
Il futuro di Mediaset che guarda ormai soprattutto all’estero, dipende dalla Rai. A marzo, infatti, Rai Way (controllata al 65 per cento dalla Rai) ed Ei Towers (60 per cento del Fondo F2i) dovrebbero fondersi creando un’unica società dei ripetitori tv come hanno fatto Tim e Vodafone per le antenne telefoniche. Vendendo il suo 40 per cento di Ei Towers, la società di Berlusconi potrebbe ricavare circa 400 milioni di euro da usare per crescere nella tedesca ProSiebenSat.1 dove per ora conta sul 25 per cento del capitale. Il governo Renzi bloccò tutto, con Draghi la situazione è cambiata.
L’esecutivo è impegnato anche su tre altri fronti: attraverso la Cassa depositi e prestiti sulla conclusione della vendita di Autostrade per l’Italia da parte della Atlantia dei Benetton al consorzio Cdp, Blackstone e Macquarie; con il ministero dell’Economia nella ricerca di un partner per Ita Airways (in stand by c’è sempre la Lufthansa) e di un buon partito al quale sposare il Monte dei Paschi di Siena. Non c’è nessuno in vista, così il governo sarà costretto a trovare da due a tre miliardi per aumentare il capitale e dovrà discutere giorno e notte con la Commissione europea per prorogare i termini della vendita. Mediobanca è advisor finanziario di Mps, ma dopo la ritirata strategica di Unicredit non ha preso quota il piano B: fondere Bper (controllata da Unipol), Banco Bpm e Mps ripulito e rifinanziato dalla mano pubblica. Tuttavia, in finanza come nella vita mai dire mai