Rischi e strategie
Le relazioni pericolose di Tesla in Cina. Ford fa meglio in Borsa
A Capodanno l'azienda di Musk ha inaugurato una concessionaria nello Xinjiang, terra di sfruttamento e dominio cinese sulla minoranza turca. Una mossa accolta a Washington con grande fastidio. E intanto i competitor di Detroit prendono il volo con un rialzo superiore al 12 per cento
Non c’è che dire: è stato un inizio d’anno elettrico, all’insegna dei sorpassi, per il mondo a quattro ruote, ormai al centro di una transizione che coinvolge tecnologia, finanza, mondo del lavoro e, non meno importante, gli equilibri geopolitici. Il primo sorpasso riguarda il primato nelle vendite sul mercato Usa. Per la prima volta dopo 90 anni Gm perde il primato delle vendite a vantaggio di Toyota (2,3 milioni di veicoli venduti, 114 mila più della rivale di Detroit). La piccola Pearl Harbor si spiega con la carenza dei chips, che hanno colpito le case Usa ed europee più del colosso giapponese che pure, ironia della sorte, ha inventato il sistema di approvvigionamento “Just in time” andato in crisi con la pandemia.
Wall Street non se l’è presa più di tanto. Anzi. Il titolo Ford ha preso il volo con un rialzo superiore al 12 per cento di fronte al successo del pick-up elettrico F-50 che ha raccolto 200 mila prenotazioni a tre mesi dalla prima consegna prevista in primavera. La casa di Detroit ha così deciso di raddoppiare la produzione, così come probabilmente farà General Motors con il suo Silverado, l’altro pick-up presentato ieri sera a Las Vegas. E così ha preso corpo un altro sorpasso, ancor più clamoroso: negli ultimi dodici mesi la performance borsistica di Ford, la veterana dell’auto a stelle e strisce, è stata migliore di quella di Tesla, il gigante da mille miliardi di valore. Una bella rivincita per l’azienda-icona del capitalismo del Novecento, che per anni ha ballato sull’orlo del default ma oggi torna sui livelli del 2001. Anche grazie al sostegno di Biden che nel pacchetto di provvedimenti sull’ambiente ha inserito la clausola che prevede incentivi solo sulla vendita dei modelli fabbricati da imprese americane ove opera il sindacato. In pratica solo le tre sorelle di Detroit (Ford, Gm e la parte americana di Stellantis ex Fca). Un aiuto che ha già scatenato le proteste di Tokyo e dell’industria tedesca, ma anche di Elon Musk, che ne ha combinata un’altra delle sue.
A Capodanno Tesla ha inaugurato con una cerimonia solenne la concessionaria in quel di Urumqi, capitale dello Xinjiang, terra di sfruttamento e dominio cinese sulla minoranza turca, spesso relegata in veri e propri campi di concentramento. Probabilmente a pochi minuti di viaggio dalla nuova sede Tesla annunciata tramite un servizio su Weibo, il più diffuso social network del Drago, arricchito da danze popolari e dall’augurio di “lanciare lo Xinjiang in uno straordinario 2022 elettrico!”. A Washington l’ultima sortita del miliardario inventore è stata accolta con evidente fastidio. Il Wall Street Journal, evocando i precedenti di Wal-Mart e Intel, mette in guardia Musk contro il “danno di immagine” sia nei confronti della società che delle altre iniziative del tycoon, grande cliente della Nasa e del Pentagono nell’avventura spaziale. Tra l’altro in lite con Pechino che accusa Space X, capofila di Musk nello spazio, di aver messo a rischio con gli ultimi lanci di satelliti la sicurezza della stazione orbitale cinese.
Forse la decisione di aprire bottega a Urumqi è stata presa da Musk per fare pace con Pechino. Oppure conta il fatto che quasi la metà delle auto prodotte da Tesla nel 2021 (930.000 in tutto) arriva dallo stabilimento di Shanghai inaugurato dallo stesso Musk. Oppure conta una visione strategica più raffinata. Il miliardario sudafricano è consapevole che il vero collo di bottiglia dell’auto elettrica saranno le forniture delle materie prime necessarie per far fronte alla domanda in forte crescita. Per questo, saltando gli intermediari, il tycoon mira ad assicurarsi forniture a lungo termine contro il rischio di eventuali black-out. E così Tesla si è garantita una fornitura annuale di 42.000 tonnellate di nickel in Nuova Caledonia, ancor prima del referendum che ha confermato l’appartenenza dell’arcipelago alla Francia. Accordi analoghi sono stati sottoscritti sul cobalto o altri materiali strategici. E la Cina può anche voler dire “terre rare”, ingredienti preziosi per l’auto elettrica. Per evitare in futuro un’altra crisi dei chips (che ha risparmiato Tesla) si può anche aprire uno showroom a Urumqi. Alla faccia dei diritti umani.