L’installazione di pannelli solari (Sean Gallup/Getty Images). Ma cosa fare nelle ore (sono tante!) in cui non c’è disponibilità di sole? 

la scommessa elettrica

Perché è difficile che l'Italia raggiunga nel 2050 gli obiettivi della transizione energetica

Chicco Testa

 Fonti rinnovabili, approvvigionamento, batterie: c’è sempre un problema. Senza contare quello che faranno gli altri

La discussione sui contenuti, i mezzi e gli strumenti della transizione energetica sembra talvolta una guerra fra i supporter delle diverse tecnologie che si scambiano numeri come pallottole avvelenate cercando di dimostrare perché la loro soluzione funziona e invece non funziona quella dell’altro schieramento. Guerra talvolta un po’ surreale perché i numeri dovrebbero essere numeri e di solito “non mentono”. Con una sola variabile: il tempo che può rendere conveniente ed efficace ciò che oggi non lo è e persino far emergere nuove soluzioni oggi inesistenti. Ma questo lo vedremo fra poco. Cerchiamo intanto di mettere un po’ d’ordine. 

  
La parola chiave della transizione è “elettricità”. La seconda è “rinnovabili”. Gli usi finali di energia del mondo contemporaneo sono solo in parte soddisfatti dall’elettricità. In Italia il 20 per cento, più o meno come in tutto il mondo sviluppato. Il resto viene soddisfatto quasi totalmente dai combustibili fossili: carbone, petrolio, gas, che ci servono per trasportarci, per alimentare molte industrie, per scaldarci, per cucinare. E anche per produrre elettricità. Complessivamente soddisfano l’81 per cento del fabbisogno energetico primario mondiale. Nei paesi poveri, le statistiche indicano percentuali elevate di fonti rinnovabili, ma non c’è da stare allegri: si tratta di biomassa povera, vegetazione spontanea, spesso unica fonte di energia, come da economie pre rivoluzione industriale. Si tratta, ogni giorno, di qualche cosa come circa 100 milioni di barili di petrolio (1 barile sono 160 litri), 15-20 milioni di tonnellate di carbone, 11 miliardi di metri cubi di gas. Ogni giorno.

  

Sostituire tutta questa roba, o una gran parte di essa, con energia elettrica, anche intuitivamente si capisce che è un compito immane. Auto elettriche anziché a petrolio, riscaldamenti e cucine elettriche, idrogeno (che va prodotto usando energia elettrica) per altri usi industriali e trasportistici. Ma se per produrre tutta questa elettricità usassimo carbone e gas saremmo punto e a capo. Togliamo da una parte, aggiungiamo dall’altra. Quindi l’elettricità andrebbe generata con  le rinnovabili. Bene, vediamo qualche numero.

 

Cominciamo dall’Italia. Nel nostro scenario 2050, nostro nel senso che è stato approvato dal governo, la penetrazione elettrica, vale a dire la quota di energia elettrica sul totale degli usi finali di energia, dovrebbe salire dal 20 per cento attuale al 55 per cento. E tutto dovrebbe essere fatto con le rinnovabili. Che nel frattempo dovrebbero anche sostituire buona parte dell’attuale produzione di energia elettrica, quella fatta con gas e con ancora un po’ di carbone. Questo significa passare dagli  attuali circa 320 TWh, cioè 320 miliardi di Kilowattora consumati oggi, a 650 miliardi di Kilowattora o se preferite 650 TWh.

 

Il conto è facile. Se consumiamo 320 TWh con il 20 per cento di penetrazione elettrica e passiamo al 55 per cento, la quantità dovrebbe aumentare di due volte e mezza se continuassimo a usare la stessa quantità di energia. Ma poiché si ipotizzano importanti miglioramenti dell’efficienza e quindi una riduzione dei consumi totali, ecco che il fabbisogno elettrico raddoppia soltanto. Dunque 650 TWh, tutti rinnovabili.

  

Ma non confondiamoci troppo con i numeri. Basti dire che solo per raggiungere questo obbiettivo, i 650 TWh, occorrerebbe installare una media di  20.000 MW all’anno di rinnovabili per i prossimi 30 anni. 600.000 in totale. Possono sembrare esagerati  ma solo se non si tiene conto che per la principale di queste fonti, il solare, abbiamo un problema di eccesso di produzione in estate e carenza in inverno. Ragion per cui ci vuole una certa ridondanza che gonfia i numeri. Per dare un’idea degli ordini di grandezza in gioco si tenga conto che oggi di MW ne installiamo meno di 1.000 all’anno e già riuscire a fare i 70.000 previsti dal piano energetico nazionale per il 2030, quasi un decimo di quel che servirebbero nel 2050, appare un compito eroico. Anche perché il problema principale, vale a dire la  disponibilità di terreni adatti e che non suscitino proteste di ogni genere, va ovviamente progressivamente riducendosi. I primi erano facilmente disponibili, gli altri diventano sempre più difficili  da rintracciare.  

  
Poi c’è una serie di problemini connessi. Tipo cosa fare nelle ore (sono tante!) in cui non c’è disponibilità di sole, la notte e quando c’è cattivo tempo, e magari anche di vento. La soluzione proposta dai rinnovabilisti puri sono le batterie. Un calcolo a spanne ci dice che ne servirebbero una quantità in grado di stoccare almeno un miliardo di kilowattora. Solo per l’Italia circa 3 volte l’intera produzione mondiale attuale di batterie. Che vanno sostituite ogni un certo numero di anni. Diciamo al massimo 10, se va bene.   

   

Ricordiamoci per altro che le batterie serviranno principalmente per le auto elettriche e che anche in questo campo non si può avere moglie ubriaca e botte piena. Non insisto oltre, ma credo che risulti evidente, è bene dirlo con chiarezza, l’enorme difficoltà, per non dire l’impossibilità di raggiungere obbiettivi di questo genere. Nessuno può ragionevolmente pensare che l’ Italia possa essere in grado di ospitare questa quantità di fonti rinnovabili. Si possono fare atti di fede e questo forse aiuta ad andare in Paradiso (o a prendere voti), ma la realtà è un’altra cosa. L’etica delle buone intenzioni non può sostituire l’etica della responsabilità.

  
Questo per l’Italia. Ma come si sa la transizione energetica o si fa in tutto il mondo o non si fa. O meglio non servono a combatter il riscaldamento globale un’Italia  virtuosa, ammesso che sia possibile l’impossibile, ma anche un’Europa virtuosa, se non seguono anche gli altri.  Serve  a poco. Contiamo per il 9 per cento delle emissioni totali nel mondo.  Pigliamo allora un continente a caso: l’Africa. Stiamo parlando di 1 miliardo e 300 milioni di persone, responsabile del 3,5 per cento delle emissioni globali. L’unico modo per comparare due realtà diverse come Italia e Africa è guardare ai consumi procapite. Mentre i consumi elettrici italiani procapite stanno oggi a 5.000 KWh anno e sarebbero destinati secondo lo scenario descritto sopra a salire a 10.000 nel 2050, stiamo parlando di un continente, l’Africa, che consuma qualche centinaio di KWh all’anno procapite. La transizione, come sappiamo e come ci dicono tutti, deve essere equa e quindi anche loro dovrebbero potere  consumare la stessa quantità di  energia che consumiamo noi. Soprattutto  perché se non aumentano i loro consumi di energia elettrica col cavolo  che potranno fare andare a batteria i milioni di veicoli che saranno immatricolati da quelle parti, produrre l’idrogeno che servirà anche a loro, ecc.

 

Naturalmente tutto con le rinnovabili. Diciamo che non serve che anche loro arrivino ai 10.000 KWh anno dell’Italia. Accontentiamoci della metà. Moltiplicate 1 miliardo e 300 milioni per 5.000 e ottenete  la cifra di ben 6.500 TWh. Dieci volte l’Italia del 2050. Venti volte quella attuale. Tutto nuovo e tutto con le rinnovabili. Poi aggiungete l’India, l’Indonesia, il Pakistan, una parte dell’America Latina e tutto il resto del vecchio Terzo mondo.  In pratica dovremmo produrre più energia elettrica con le rinnovabili di quella usata in tutta la storia dell’umanità. Anche perché la stessa riconversione dovrebbero farla  l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina, ecc. Poi metteteci le batterie necessarie. O troviamo i metalli rari su Marte e apriamo 100.000 nuove fabbriche di batterie, o ci inventiamo qualche cosa, o non capisco come si possa fare.  

 
A questo punto sento arrivare l’obiezione: “Dillo che sei contro la transizione”. Che è più o meno come dire che se faccio presente a qualcuno che cercare di scalare il K2 a piedi scalzi è un po’ improbabile, vuol dire che sono contro le ascensioni in montagna. La transizione va fatta, è in corso ed era in corso. Ma non serve, se non a prendere decisioni sbagliate e sperperare una montagna di soldi, continuare ad alzare  l’asticella. Cosi’ si rischia solo di creare una grande confusione, distruggere ricchezza, posti di lavoro e imprese. 

 
In primo luogo ci vuole  tempo. Sì, lo so, se non restiamo sotto il grado e mezzo sarà un disastro. E allora prepariamoci con tutte le misure di adattamento necessarie, perché, se sono giusti i calcoli  dell’Ipcc, sotto il grado e mezzo non ci restiamo. E se aumentano i fenomeni climaticamente sfavorevoli meglio essere in buona salute economica che disastrati. Ma la transizione non si compirà in pochi decenni, sarà un processo molto più lungo, soprattutto per quei quattro quinti di umanità che vivrà fuori dai paesi oggi sviluppati. Secondo. Avremo bisogno dei combustibili fossili ancora per un lungo periodo. Soprattutto in quei paesi – Africa, Cina, India, ecc. –  che hanno fame di energia senza la quale non vi è né crescita economica né giustizia sociale. Terzo. Non possiamo affidarci solo alle rinnovabili e quindi bisogna limitare l’impatto dei fossili per esempio attraverso il sequestro della CO2, associato alle produzioni che ne emettono.  E qui si apre un’altra finestra, quella delle cose che ci sono oggi e delle cose che potrebbero esserci domani. Molti sostenitori della transizione qui e subito ci dicono che alcune tecnologie, per esempio le batterie, saranno disponibili a prezzi più bassi e con caratteristiche  molto migliori in un futuro prossimo. A parte che questo tipo di scommesse è sempre un po’ un azzardo e prima di buttare all’aria casa bisognerebbe essere sicuri di averne una migliore a disposizione, non si capisce perché questo argomento non debba valere per tutte le tecnologie su cui si vuole investire. Come la carbon sequestration oggi ancora relativamente costosa ma che potrebbe migliorare molto. E come il nucleare. Come abbiamo capito non possiamo fare a meno di una fonte di energia elettrica di grande taglia  e costante. Che ridurrebbe la quantità di rinnovabili necessarie e darebbe stabilità al sistema, perché programmabile. Che c’è quando la  vogliamo noi e non quando lo decide la meteorologia. Ce ne sono tre disponibili. Carbone, gas e nucleare. Premesso che anche delle prime due non ci libereremo tanto facilmente l’unica speranza che questo possa avvenire senza emissioni è costituito dall’energia nucleare. Rischiosa? Problematica? Anche, ma meno  di altre fonti, e cerchiamo di deciderci. O siamo alla vigilia di una catastrofe climatica e allora tutti i mezzi disponibili vanno usati oppure stavamo scherzando e  godiamoci l’aumento delle temperature. 

   
A me i numeri dicono una cosa chiara. Abbiamo bisogno di elettricità in quantità mai nemmeno immaginate fino a ieri. E per questo serve anche l’energia nucleare, investendo sulla sua innovazione così come si investe su altre tecnologie carbon free. E dovremmo guardare con maggiore speranza e attenzione alla possibilità della fusione facendo tutto il possibile per accelerare i tempi. Altrimenti la partita è già persa in partenza.