l'intervista
Così il climaticamente neutro può mettere l'Ue in blackout
Tabarelli (Nomisma): “Il piano europeo sul clima è poco realistico e l’Italia non riuscirà a reggerne il ritmo”
Il governo Draghi potrebbe decidere la prossima settimana come intervenire sugli extra profitti registrati dalle società energetiche. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha confermato, infatti, che Palazzo Chigi sta lavorando per tassare tali extra marginalità in modo che i produttori contribuiscano alla fiscalità generale per sostenere le categorie più svantaggiate. E questo ormai, più che un orientamento della Lega, sembra un indirizzo condiviso dalle forze della coalizione di governo nonostante tra le società più esposte al ritorno, improbabile secondo alcuni, di una “Robin Hood Tax” ci sia anche l’Enel, che è controllata dal Tesoro. Non è un caso che la replica dell’amministratore delegato, Francesco Starace, non si sia fatta attendere. “Noi non facciamo extra profitti con il caro energia – ha detto in un’intervista a Repubblica – perché vendiamo la nostra produzione a un prezzo fissato due o tre anni prima”.
Basterebbe riflettere su questo paradosso per comprendere quello che sta succedendo: il rincaro dei prezzi dell’energia (l’elettrica è arrivata a superare i 200 euro al Megawattora, mentre solo un anno fa il prezzo medio di vendita era di 48 euro) rischia di mandare in cortocircuito i rapporti tra il governo e le aziende che controlla (tra queste anche l’Eni) per il semplice fatto che nessuno era preparato ad affrontare il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili così veloce e soprattutto senza la consapevolezza diffusa che il costo di questo processo si trasferisce direttamente sui consumatori.
Tra le (scarse) voci critiche che negli ultimi tempi si sono levate contro la politica italiana ed europea per aver posto la transizione ecologica alla base dei loro programmi e averla presentata troppo “facile” ai cittadini c’è Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e docente di Economia all’Università di Bologna e al Politecnico di Milano. “Come governare l’energia è una delle grandi questioni aperte – dice al Foglio Tabarelli – L’accelerazione alla riduzione delle emissioni imposta dalla commissione europea con il pacchetto Fit for 55, che è il braccio operativo del Green Deal e prevede l’abbattimento del 55 per cento dell’inquinamento entro il 2030 per poi arrivare alla neutralità climatica al 2050, ha prodotto come effetto il taglio degli investimenti nei sistemi energetici tradizionali il che ha portato a una bassa capacità produttiva e a una riduzione delle scorte”.
Insomma, la decisione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di fare dell’Europa il primo continente “climaticamente neutro” ha portato ad abbandonare precocemente le fonti energetiche tradizionali e senza, tra l’altro, mettere in conto la (prevedibile?) ripresa delle tensioni tra Russia e Stati Uniti proprio sui rifornimenti del gas. Tutta colpa di Bruxelles, allora? Tabarelli non ne fa una questione ideologica, ma ritiene sia stato un grave errore subordinare la politica energetica europea alle proteste di piazza arrivando a farsi dettare i tempi dai movimenti ambientalisti, fossero anche quelli dei giovani e dei giovanissimi “ai quali andrebbe spiegato che porsi degli obiettivi troppo ambiziosi equivale a incentivare un impoverimento generale”. Anche la finanza, secondo l’economista, ci ha messo lo zampino favorendo in modo massiccio fondi di investimento proiettati sull’economia “sostenibile” facendo leva proprio sulla domanda espressa dalle nuove generazioni. “Tutto legittimo, per carità, ma questo ha ulteriormente spinto le decisioni dei policy maker in una direzione che si sta rivelando errata”. Ma allora, il protocollo di Kyoto, gli accordi di Parigi, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, tutti gli accordi globali sullo sviluppo sostenibile, compresa la recente Net Zero Alliance, sono irrealizzabili? “In linea di principio è tutto giusto, ma poi si deve guardare alla realtà. E il piano europeo sul clima è poco realistico a mio parere e l’Italia non riuscirà a reggerne il ritmo. La stangata delle bollette è una prova del fatto che i costi della transizione li stiamo già pagando e non so fino a che punto un provvedimento come la tassazione degli extra profitti, quando ci sono, potrà risolvere il problema che andrebbe piuttosto affrontato tornando a investire sulle fonti fossili come ha fatto la Germania che, nonostante i verdi al governo, ha aumentato i consumi del carbone del 25 per cento quest’anno”. Insomma, le rivoluzioni a costo zero non esistono e poi nessuno considera mai, neanche i paladini della rivoluzione verde, che l’Europa è al primo posto per i prezzi dell’energia e però emette meno CO2 per unità di pil rispetto agli Stati Uniti e all’Asia: solo l’8 per cento del totale mondiale delle emissioni. E, insiste l’economista, i cittadini europei pagano l’elettricità almeno il doppio di quelli americani che consumano e inquinano molto di più come si vede dall’uso indiscriminato che fanno dei condizionatori per l’aria fredda d’estate. “Dal 1990 al 2019 l’Europa ha ridotto le emissioni inquinanti di un miliardo, mentre gli altri le hanno aumentate di 13 miliardi di tonnellate. Questo squilibrio non è sostenibile”.
Oggi lo choc dei prezzi dell’energia elettrica e del gas (quest’ultimo è aumentato di quattro volte in un anno) espone l’Europa a rischi di blackout energetici (cinque giorni fa un massiccio blackout ha colpito Berlino, lasciando al buio e senza riscaldamento migliaia di abitazioni) e a dirlo è stato anche il Copasir ieri in un passaggio della relazione sulla sicurezza energetica in cui spiega che in un sistema di approvvigionamento estremamente interconnesso come quello europeo, lo spegnimento di una singola centrale, ad esempio per mancanza di combustibile, può generare una reazione a catena in vari stati membri. Per il Copasir bisognerebbe incrementare l’estrazione di gas da giacimenti italiani mentre il paese dovrebbe porsi come obiettivo la massima diversificazione di fonti energetiche in modo da ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti dall’estero approfittando delle risorse messe a disposizione dal Pnrr. Lei che cosa ne pensa?
“Questi processi sono lenti – replica Tabarelli - e io credo che una sostituzione completa tra fonti fossili e rinnovabili non sia realizzabile neanche nel lungo periodo, il che non vuol dire che io non trovi giusto in linea teorica che gli sforzi si concentrino nell’aumentare la produzione di energia pulita. Ma non bisogna farsi illusioni e intervenire al più presto per fare abbassare i prezzi prendendo atto anche del fallimento del libero mercato in questo settore perché oscillazioni della portata a cui stiamo assistendo sono inaccettabili”. Ma in che modo si può intervenire? Per Tabarelli la Commissione Europea dovrebbe provare a forzare la Germania e gli Stati Uniti a dare il via libera al Nord Stream 2, il gasdotto che arriva dalla Russia, in modo da far aumentare la disponibilità di gas abbassandone i prezzi. Ovviamente, l’infrastruttura rappresenta un’arma geopolitica nelle mani di Mosca, che le permetterebbe di aumentare la sua influenza sull’Europa visto che questa importa già una quota pari al 40 per cento del suo fabbisogno. “Come si vede, i temi sono complessi e affrontare la transizione energetica con facili slogan è stato quanto meno azzardato”.