comuni in lotta
Scuse paesaggistiche. Le nuove frontiere del nimby sono un guaio per il Pnrr
Non c’è politico che neghi l’urgenza della transizione energetica. Ma quando si tratta di intraprendere azioni concrete, gli entusiasmi sciamano. Solo dalle soprintendenze per la tutela del paesaggio, sotto la responsabilità del ministero della Cultura, bloccati oltre 3 gigawatt di progetti
Otto milioni di italiani non erano ancora nati quando per la prima volta si iniziò a discutere di installare 59 pale eoliche galleggianti al largo di Rimini. La prima delibera della regione Emilia-Romagna per iniziare lo studio di fattibilità dell’opera risale al 2006, seguita da una seconda delibera della Giunta provinciale di Rimini, oggi ormai estinta per legge come in tutta Italia. Perfino il nome della società creata ad hoc per il progetto è diventato anacronistico: Energia Wind 2020 srl. Allora doveva essere un brand all’avanguardia che apriva orizzonti avveniristici, mentre oggi non può che rievocarci ricordi che vogliamo dimenticare in fretta. Quello di Rimini è solo il simbolo dell’Italia rinnovabile incompiuta, disseminata di progetti di pale eoliche e pannelli solari che non hanno mai visto la luce, sommersi da carte bollate e faldoni.
Ma la colpa non è (solo) della burocrazia. Le soprintendenze, le commissioni che valutano l’impatto ambientale, i tribunali amministrativi sono spesso le armi di chi combatte la guerra contro gli impianti rinnovabili, in nome della tutela del paesaggio. Non c’è politico, almeno in Italia, che neghi l’urgenza della transizione energetica e della lotta al cambiamento climatico. Ma quando si tratta di intraprendere azioni concrete per rendere più sostenibile il nostro stile di vita, gli entusiasmi sciamano. Questa è la storia degli impianti di energia rinnovabile in Italia. Che ha molto in comune con la storia, decisamente più conosciuta e internazionale, dei Nimby (not in my back yard), ben rappresentati nel nostro paese dai vari No-tav, No-tap, e via così a piacimento. In media, secondo l’Anev (l’associazione che raccoglie le aziende del settore eolico), trascorrono quattro anni e nove mesi dalla richiesta di approvazione dei progetti di nuove pale al termine dell’iter. La colpa è della burocrazia, alimentata da ricorsi e controricorsi di chi si oppone alle rinnovabili in nome del paesaggio. E i progetti si accumulano: scondo i dati di Terna, solo nell’ultimo anno sono arrivate 1439 nuove richieste preventive di connessione alla rete elettrica, il primo step per la costruzione degli impianti.
La contrarietà ai progetti di generazione da energia rinnovabile abbraccia tutto l’arco costituzionale.
A Rimini è il sindaco della città, eletto con il centrosinistra, a opporsi al progetto di 59 pale alte 125 metri ad almeno dieci chilometri dalla costa, che potrebbe alimentare decine di migliaia di case. A suo parere “un tale impatto non è accettabile davanti alle coste riminesi”.
A Ravenna evidentemente soffrono di miopia, visto che sono previsti dal Pnrr due parchi eolici da ben 65 turbine.
Ma è scendendo al Sud, dove sole e vento abbondano, che si trovano le più larghe sacche di Nimby. Il sindaco di Ascoli Satriano, provincia di Foggia, dice che “dovranno passare sul mio corpo” per installare 19 nuove turbine che fornirebbero elettricità al suo intero comune e più. Nel vicino comune di Volturino hanno invece pensato di appellarsi al Tar, vincendo il ricorso, per bloccare 10 pale. Anche in questo caso, giunta sostenuta dal Pd. Italia nostra, l’associazione per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale afferma di aver portato avanti negli ultimi sei anni più di trenta azioni di tutela contro l’“eolico selvaggio”, a cui si devono aggiungere “moltissime azioni contro il fotovoltaico a terra in aree di pregio”. E qual è l’alternativa dei sacerdoti del paesaggio? L’“autoproduzione energetica individuale” con impianti piccoli, poco impattanti e diffusi. La vecchia ricetta del piccolo-è-bello, che poco e troppo lentamente potrebbe fare per raggiungere gli ambiziosi obiettivi climatici.
Ma la rivolta contro le rinnovabili non viene solo da sinistra. Per Matteo Salvini “le pale eoliche sono un pugno in un occhio in uno dei paesaggi più belli del mondo”, a cui preferisce una “buona centrale” a energia nucleare, quando però in trent’anni non si è ancora individuato in Italia un deposito unico delle scorie nucleari proprio per via delle proteste Nimby.
Eppure gli accordi con l’Europa parlano chiaro. Entro il 2030 dobbiamo quasi raddoppiare la capacità installata di energia rinnovabile, di cui la metà dovrà derivare dal sole e circa il 20 per cento dall’eolico. Per rispettare gli obiettivi il ministro Roberto Cingolani ha ricordato che è necessario installare 8 gigawatt di rinnovabili in più all’anno, mentre oggi ne aggiungiamo meno di 1 anche per colpa della burocrazia. Solo dalle soprintendenze per la tutela del paesaggio, sotto la responsabilità del ministero della Cultura, sarebbero bloccati oltre 3 gigawatt di progetti. Ecco perché il governo ha introdotto una serie di semplificazioni per sveltire le approvazioni, per fare della battaglia contro le pale eoliche una lotta contro i mulini a vento.