La rivoluzione verde costa, e pure troppo. Urgono mediazioni
Crescono i timori per l’aumento dei prezzi dell’energia e la spirale della “greenflation”. Se guidata in modo eccessivo dall’ideologia, la transizione ecologica rischia di creare squilibri inaccettabili. Anche la Bce è in allarme
Isabel Schnabel è uno dei cinque membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea, è un’accademica tedesca, ha insegnato all’Università di Mainz e poi all’Università di Bonn e la scorsa settimana ha affrontato in modo controcorrente un tema che sulla vita dei cittadini avrà un impatto maggiore anche rispetto al futuro del capo dello stato: l’inflazione. Schnabel, però, non ha affrontato l’inflazione in modo freddo, rifugiandosi nei tecnicismi, ma lo ha fatto in modo caldo, spiegando che quello che spesso viene descritto come un fenomeno transitorio rischia di non essere transitorio e rischia di essere sempre più collegato alla declinazione dell’ideologia ambientalista. Schnabel ha fatto propria l’espressione “greenflation”, ha sostenuto che la transizione ecologica avrà conseguenze impreviste sull’economia, ha ammesso che le energie rinnovabili non si stanno rivelando capaci di rimpiazzare in modo istantaneo quelle più inquinanti e ha riconosciuto in modo esplicito che la carenza complessiva dell’offerta energetica deriva dalla velocità con cui i grandi paesi del mondo hanno deciso di affrontare la transizione energetica.
Mentre in passato i prezzi dell’energia spesso sono diminuiti con la stessa rapidità con cui sono aumentati – ha detto Schnabel – la necessità di intensificare la lotta ai cambiamenti climatici può implicare che i prezzi dei combustibili fossili ora dovranno non solo rimanere elevati, ma anche continuare a crescere se vogliamo soddisfare gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima. In questo senso – ha aggiunto – la combinazione di insufficiente capacità di produzione di energie rinnovabili nel breve periodo, investimenti modesti nei combustibili fossili e aumento dei prezzi del carbonio significa che rischiamo di affrontare un periodo di transizione forse prolungato durante il quale la bolletta energetica aumenterà”. In altre parole, come ha felicemente sintetizzato il Financial Times, le nuove spese previste dai governi in materia ambientale stanno facendo aumentare la domanda di materiali necessari per costruire un’economia più pulita. Allo stesso tempo, l’inasprimento delle normative sta limitando l’offerta attuale di energia meno pulita, scoraggiando gli investimenti in miniere, fonderie o in qualsiasi fonte che produca CO2. Il risultato indesiderato è la “greenflation”: aumento dei prezzi di metalli ed elementi come rame, alluminio e litio, essenziali per l’energia solare ed eolica, le auto elettriche e altre tecnologie rinnovabili. Il discorso è dirompente e offre lo spunto per alcune riflessioni diverse.
La prima riflessione riguarda un dato di realtà: le rivoluzioni a costo zero non esistono e la transizione ecologica se guidata in modo eccessivo dall’ideologia rischia di creare squilibri inaccettabili. Specie in un contesto come quello europeo all’interno del quale i cittadini pagano l’elettricità il doppio di quelli americani pur avendo ridotto l’Europa le emissioni inquinanti di un miliardo di tonnellate tra il 1990 e il 2019. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e docente di Economia all’Università di Bologna e al Politecnico di Milano, venerdì scorso sul Foglio ha messo il dito nella piaga e ha ricordato che la decisione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di fare dell’Europa il primo continente “climaticamente neutro” ha portato ad abbandonare precocemente le fonti energetiche tradizionali senza tra l’altro mettere in conto la prevedibile ripresa delle tensioni tra Russia e Stati Uniti proprio sui rifornimenti del gas.
La seconda riflessione riguarda un problema che in pochi nei governi accecati dall’ideologia ambientalista sembrano voler considerare: come utilizzare, senza renderla insostenibile, energia meno pulita in attesa di costruire una nuova economia verde.
La terza riflessione riguarda uno scenario destinato a complicare ulteriormente la vita all’Italia nell’anno in corso. Sostenere che l’inflazione non sarà temporanea significa sostenere la necessità di rialzare i tassi di interesse per combattere l’inflazione strutturale. Alzare i tassi di interesse significa far aumentare i costi di emissione del debito. Fare aumentare i costi di emissione del debito significa creare una maggiore spesa per gli interessi. E in un paese come l’Italia far aumentare di un punto percentuale i tassi di interesse su tutti i titoli alza la spesa per gli interessi dello 0,11 per cento del pil. Fino a oggi, i costi della transizione ecologica sono stati solo virtuali.
L’aumento rapido dell’inflazione (+3,9 per cento su base annua), determinato in Italia prevalentemente dall’aumento dei costi dell’energia, costringe i professionisti dell’ambientalismo dogmatico a fare i conti con la realtà e a decidere da che parte stare: scommettere sulla rivoluzione green senza badare alle conseguenze della rivoluzione o trovare un punto di equilibrio per evitare che la politica degli slogan possa costringere anche i non facinorosi a indossare nel 2022 un bel gilet giallo. Per anni è stato raccontato che la rivoluzione verde, oltre a essere necessaria all’ambiente, è anche conveniente dal punto di vista economico.
La verità è che la transizione ecologica non è fatta per portare un surplus di competitività, o comunque non sempre, e aver ignorato questo problema è una delle cause dell’impreparazione attuale dei governi. La Banca centrale europea, in fondo, questo ci dice: la transizione ecologica potrebbe essere un bagno di sangue.