Foto di Sean Gallup/Getty Images 

Criptoelettori

Le criptovalute sono di destra o di sinistra? L'irruzione nella campagna Usa di midterm

Pietro Minto

L’influenza politica del Bitcoin negli Stati Uniti è evidente. Un americano su sei ha investito sulle monete virtuali e né i repubblicani né i democratici sembrano disposti a rischiare voti per contraddire la nuova passione degli elettori

“Gradualmente, poi all’improvviso”, scriveva Hemingway. Sta succedendo anche alle criptovalute – e a tutto il mondo riassunto con la parola “crypto”. Dopo anni di crescita, diffusione, polemiche  e bolle, ecco che all’improvviso le sorti del “crypto” sembrano già essere un argomento da campagna elettorale. Era forse inevitabile, visto che negli Stati Uniti un cittadino su sei avrebbe investito qualche denaro su almeno una criptovaluta: parliamo di circa 55 milioni di persone, alcune delle quali ripongono sempre più speranze nel settore. Sarà per questo che le elezioni di metà mandato previste negli Stati Uniti per il prossimo novembre, si stanno polarizzando attorno a questo argomento.

 

L’influenza politica del Bitcoin sulla politica agisce a più livelli, a conferma di come le criptovalute abbiano raggiunto un livello endemico nella società americana. Sulla superficie c’è l’utilizzo più semplice e diretto di Bitcoin come moneta di scambio – o, in questo caso, come finanziamento politico. Aarika Rhodes, insegnante delle elementari candidata alle primarie per i democratici, in California, ha raccontato a Politico di aver ricevuto molti finanziamenti tramite criptovalute. “Sempre più persone di colore, donne e madri single sono interessate a Bitcoin”, ha detto, “non ho mai incontrato nessuno che fosse contrario”.

A quanto pare Rhodes non passa molto tempo su Twitter, dove il dibattito sul crypto non è affatto pacifico. E’ il paese reale, “the real America”, che avrebbe fatto una scelta precisa, sciogliendo molte riserve attorno nei confronti di queste valute: alla politica non resta che prenderne atto. Finora, infatti, politica e crypto hanno avuto un rapporto un po’ più profondo, quasi accademico, concentrato sul ruolo politico che la blockchain e i network decentralizzati dovrebbero avere nel futuro.

Nel 2016 David Golumbia della Virginia Commonwealth University pubblicò un pamphlet, “The Politics of Bitcoin: Software as Right-Wing Extremism”, in cui mostrava i legami culturali tra la valuta e alcuni movimenti politico-culturali vicini a una certa destra, come il libertarismo (ma anche l’anarco-capitalismo). La promessa di Bitcoin, del resto, sembra alettante: zero controlli, zero enti centrali e nessun intervento statale, grazie alla magia della catena di blocchi. Le cose sono in realtà meno semplici di quanto auspicato dai più zelanti crypto-bros, ma tanto è bastato a convincere parte della destra (anche quella più radicale) ad abbracciare le criptovalute

 

Recentemente lo stato del Texas, a guida repubblicana, ha aperto le porte all’industria del mining, le operazioni informatiche con cui si coniano nuovi Bitcoin. Il settore aveva subito un forte colpo dopo la messa bando del mining in Cina ma in pochi mesi il Texas è diventato un hub di rilievo del settore – e per un preciso motivo politico del Partito repubblicano locale. “Vorrei vedere il Texas diventare il centro dell’universo per Bitcoin e il crypto”, ha dichiarato il senatore Ted Cruz.

La divisione tra destra e sinistra non è però così netta. Basti pensare quanto al mondo crypto sembrava piacere il candidato Bernie Sanders, per via della sua politica monetaria. Quanto a Trump, invece, si è più volte schierato “contro”, definendo recentemente Bitcoin e simili “un imbroglio nei confronti del dollaro”. L’unico a combattere apertamente il crypto, in queste elezioni di midterm, sembra essere Brad Sherman, democratico californiano, a cui qualche crypto-entusiasta ha persino “dedicato” un SuperPac chiamato “Shut Down Sherman” con l’obiettivo di “abbattere il nemico numero uno del Crypto”. 

A conferma di quanto questo settore stia mescolando carte e incrociando posizioni politiche, Sherman sembra quasi concordare con Trump per quanto riguarda il rischio che il crypto rappresenta per la supremazia monetaria del dollaro e la capacità degli Stati Uniti di imporre sanzioni economiche. Strumenti essenziali per una superpotenza che voglia definirsi tale, eppure, secondo Sherman, “non c’è un singolo lobbysta in questa città che voglia difendere tutto questo”. Il motivo è chiaro: se un americano su sei ha investito sulla stessa cosa, diventa davvero difficile criticarla in pubblico, specie se il settore in questione è ricco e sempre più convinto di aver inaugurato una nuova era monetaria (e non solo). Né i repubblicani né i democratici sembrano disposti a rischiare voti per contraddirli.

 

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