il costo del green
Ascoltare le imprese per combattere la transizione demagogica. Parla Giansanti (Confagricoltura)
"Per non sprecare il Pnrr dobbiamo coniugare qualità e sostenibilità. Il nutriscore? Il cibo è cultura, non matematica". Intervista a Massimiliano Giansanti
“Il Pnrr è un piano imponente ma dev’essere indirizzato verso progetti concreti e fattibili”, parla così al Foglio il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti che mette in guardia dal rischio di “contributi a pioggia” e rilancia il ruolo “green” dell’agricoltura italiana. Presidente, partiamo dall’emergenza del momento: il caro bollette. “L’agricoltura è un settore energivoro che sta soffrendo enormemente: la produzione in serra risente del caro gasolio, la zootecnia ha visto triplicare i costi dell’energia elettrica, l’agroalimentare soffre per l’impossibilità di scaricare a terra l’aumento dei prezzi. L’inflazione, dovuta ai costi alimentari lievitati di cinque punti percentuali, minaccia di deprimere i consumi. Il governo intervenga rapidamente mitigando gli oneri a carico delle imprese o sostenendo la spesa alimentare delle famiglie con un bonus di cento euro al mese”. I 6,8 miliardi di euro previsti dal Pnrr sono una montagna di risorse: per fare cosa? “E’ necessario stabilizzare il settore dell’agroindustria e irrobustire la crescita sui mercati internazionali. Dal 2015 a oggi l’export agroalimentare ha raddoppiato il valore passando da 27 a 53 miliardi di euro. Seppure in tempo di pandemia, i prodotti italiani vanno fortissimo all’estero, a conferma della resilienza del settore”.
Ma in Europa il nutri-score rischia di danneggiare il made in Italy. “Il nutri-score è contro la dieta mediterranea e si basa sulla falsa idea che le persone scelgano gli alimenti in base al calcolo aritmetico delle calorie e non per gusto, tradizione, stile di vita. Il cibo è cultura, non matematica. Con il nutri-score qualcuno intende monopolizzare l’agroalimentare europeo: l’etichettatura, priva di base scientifica, favorisce alcuni paesi a scapito di altri. Noi ci siamo rivolti all’Antitrust affinché ravvisi eventuali profili di concorrenza sleale. Siamo contro la standardizzazione del cibo, vogliamo difendere la nostra sovranità alimentare”. Lei, da vicepresidente del Comitato delle organizzazioni agricole europee, ha criticato anche la strategia “Farm to fork”. “Attendiamo ancora dalla Commissione Ue una valutazione d’impatto mentre, secondo le stime realizzate da diverse istituzioni americane, incluso l’Usda (ministero dell’Agricoltura Usa, ndr), il Green deal avrà conseguenze devastanti sull’agricoltura europea, con un calo della produzione del venti per cento e un incremento equivalente dell’import da paesi non europei”.
Tornando al Pnrr, rischiamo di perdere tempo dietro progetti farraginosi e inconcludenti? “Il rischio c’è, per scongiurarlo le risorse vanno incanalate verso progetti con ricadute effettive di carattere nazionale. Dobbiamo coniugare qualità e sostenibilità, sarà la sfida del 2022”. Voi di Confagricoltura insistete sulla logistica: perché? “In Italia la rete distributiva risente dei retaggi del passato, della storia dei mercati annonari degli anni Trenta del secolo scorso. Se consideriamo, per esempio, il settore ortofrutticolo, esistono non meno di diciotto mercati regionali a dispetto di una tendenza nazionale che vede concentrarsi la distribuzione dei generi alimentari in cinque macro aree. Dobbiamo uscire dal localismo per creare aggregazioni più ampie, solo così potremo rafforzare la competitività della filiera sul mercato interno e la capacità di penetrazione all’estero”.
1,5 miliardi sono destinati all’agrisolare. “L’agricoltura sarà uno straordinario interprete della transizione ecologica. Dobbiamo continuare a produrre cibo ma in modo sempre più responsabile. Vogliamo lavorare in autoproduzione da fonte solare o attraverso il riutilizzo dei sottoprodotti agricoli per produrre biometano che ha potenzialità enormi. L’economia circolare consente di trasformare un costo sociale in utilità sia per gli agricoltori, in termini di diversificazione del reddito, sia per i consumatori finali”. Siete soddisfatti del compromesso raggiunto sull’agrivoltaico che consente di installare pannelli senza occupare suolo agricolo? “Si può fare di più. Molti terreni, per marginalità produttiva o localizzazione infelice, potrebbero diventare campi da dedicare interamente alla produzione di energia elettrica verde. La campagna offre luoghi isolati dove realizzare centri di stoccaggio. Il governo dovrebbe attivare la leva degli incentivi per coinvolgere di più gli imprenditori che intendono continuare a produrre biogas o riconvertire gli impianti esistenti in biometano, con infrastrutture adeguate”.