Il ritorno dell'inflazione e il dilemma delle banche centrali
È un rimbalzo, è temporanea, è dovuta all’energia, oppure va subito bloccata? La realtà è che ancora non si sa
Due annunci, ieri, dall’economia reale americana: il pil del quarto trimestre 2021 al 6,9 per cento, ben al di sopra le attese che indicavano un 5,5; e i prezzi al consumo che a dicembre salgono su base annua di ben il 7 per cento, il 5,5 depurati dell’energia e degli alimentari. In entrambi i casi, livelli che non si vedevano dagli anni ‘80, quando alla Federal reserve prima Paul Volcker poi Alan Greenspan (un democratico e un repubblicano) decisero di combattere l’inflazione con i rialzi dei tassi d’interesse, fino al 20,5 per cento Volcker a maggio 1981. Il risultato fu il ritorno sotto controllo del caro-vita, ma anche il brusco abbassamento del pil, il prodotto del paese, e una disoccupazione che nel 1983 superò il 10 per cento, livello avvicinato solo dalla crisi post Lehman Brothers. L’ortodossia monetaria, della quale Volcker è un celebrato maestro e Greespan l’allievo, recita che il primo dovere di un banchiere centrale è mantenere il controllo dei prezzi poiché una loro crescita elevata non solo impoverisce la popolazione ma costringe il Tesoro a emettere debito a tassi crescenti: un fenomeno mondiale in quel decennio e che in Italia vide la rincorsa tra inflazione e Bot.
Di fronte a un’inflazione sostenuta, che non ha più i caratteri transitori che si ipotizzavano lo scorso anno, Jerome Powell, attuale presidente della Fed, ha annunciato mercoledì l’avvio di un rialzo dei tassi a partire da marzo, secondo una scaletta che prevede tre o quattro aumenti di un quarto di punto nel 2022, tre nel 2023, due nel 2024. Questo calendario era stato annunciato a dicembre scorso, assieme al ritiro degli acquisti di titoli pubblici: e poiché per un banchiere centrale le parole contano, molti credono che la Fed si stia un po’ impiccando alla propria corda. Ancora più in una fase di incertezza economica (uscita dalla pandemia, tensioni geopolitiche, scarsità di materie prime, rivoluzione green) e, negli Usa, anche politica vista la fragilità del primo anno di amministrazione Biden.
Certo, avere sotto mano una simile tabella soddisfa chi emette debito oggi in quanto può regolarsi (da qui il rialzo delle borse); molto meno chi deve investire sul futuro avendo la prospettiva di almeno tre anni di interessi in aumento. E di conseguenza la fetta di mercato del lavoro che guarda alle nuove tecnologie e ai nuovi settori. Cioè protegge chi è già protetto, scoraggia chi scommette sul domani. Le banche centrali non sono arbitri che si affidano alla bandierina del guardialinee, devono anche usare il Var, pur con i suoi difetti.
Greenspan, che guidò la Fed per 20 anni, ammise alla fine il proprio errore ereditato da Volcker. Il suo successore Ben Bernanke si tenne le mani molto più libere, il che gli permise di destreggiarsi nella crisi Lehman imponendo alle banche, in collaborazione con il Tesoro, di salvare quanto potevano e raddrizzando la situazione in soli due anni. Nel frattempo l’Europa seguiva con ritardo, nel 2011 la Bce con a capo Jean-Claude Trichet alzò i tassi proprio mentre stava esplodendo la crisi; poi arrivò Mario Draghi ad allentare le briglie salvando l’euro. Christine Lagarde sembra seguire questa linea pragmatica. Per esempio sull’inflazione: è un rimbalzo, è temporanea, è dovuta all’energia, oppure va subito bloccata? La realtà è che ancora non si sa, anche perché in Europa, con un’economia ancora convalescente, la situazione è molto diversa rispetto agli Stati Uniti. Tornando in America è imbarazzante che i due ultimi presidenti della Fed, Powell e Janet Yellen (oggi segretaria al Tesoro di Biden) non abbiano deciso se e come pesare, oltre all’inflazione, la crescita e l’occupazione ma anche le nuove frontiere tecnologiche e digitali. Yellen vi si interrogò inutilmente per il suo breve mandato, da perfetta liberal americana. Powell si è contraddetto per tutta l’estate scorsa, da conservatore moderato. Nessuno dei due ha dato la risposta: il che è un po’ la politica Usa.