Ita, Mps, Tim, Generali. Le partite di Draghi dopo il Mattarella bis
Cosa succede ora con le grandi sfide dell'economia italiana? La linea del presidente del Consiglio è: rinnovamento nella continuità
Scende lo spread, sale la borsa: sollievo, è questo il sentimento che prevale nel mondo degli affari. Il Mattarella bis per molti versi è una resa dei partiti, per altri è un inno alla stabilità. Che impatto può avere sul grande risiko che coinvolge sia la finanza sia l’industria? Davvero il governo guidato da Mario Draghi ne esce più forte? Se la parola d’ordine è continuità, allora ci sarà una spinta a non toccare nulla, ma d’altra parte lo stallo istituzionale copre una forte spinta al cambiamento.
A sentire sia pur informalmente i protagonisti, tutti si dichiarano soddisfatti e tutti dicono che il quadro politico favorirà le proprie ambiziose intenzioni. E’ ovvio che non sarà così. Lasciamo per ultima la partita più complicata (il controllo del Leone di Trieste), e cominciamo da quella per Ita Airways che sembra avviata a soluzione. Il colosso mondiale del trasporto marittimo, la Msc italo-svizzera di Gianluigi Aponte, e il colosso europeo del trasporto aereo, la tedesca Lufthansa, hanno presentato una proposta per prendere il controllo della compagnia italiana lasciando al governo una quota di minoranza. I dettagli sono ancora nebulosi, in ogni caso quello che appariva come un caso disperato è diventato un boccone ambito, se è vero che si è rifatta viva anche Air France mentre l’americana Delta, preoccupata, vorrebbe gettare sabbia nell’ingranaggio.
Il metodo Draghi, vendere e trovare partner industriali non solo finanziari, sta avendo dunque successo e potrà essere applicato al Montepaschi. Anche qui occorre un socio industriale, cioè un’altra banca, in grado di prendersi il rischio, con lo stato che resta come garante sostenendo finanziariamente il risanamento. L’autore c’è, per trovare i personaggi bisogna guardare ai possibili candidati per il terzo polo bancario: Bper controllata da Unipol, che ha acquisito la genovese Carige, la Popolare di Sondrio, Banco Bpm che nasce dalla Popolare di Milano. Ma attenzione anche alle due grandi banche francesi in Italia: Crédit Agricole con Cariparma, sconfitta nella gara per Carige, e Bnp con Bnl. Dunque, finirà nel cassetto il sogno che Mps resti allo stato, condiviso da M5s e Lega.
Sul fronte Tim, con la débacle di Matteo Salvini nella competizione per il Quirinale e l’insofferenza di Giancarlo Giorgetti, c’è più spazio per Vittorio Colao. Fa un altro passo indietro la rete unica sostenuta dalla Lega, mentre il ministro per la Transizione digitale può andare avanti con il proprio schema che non prevede reti uniche nazionalizzate, ma un’aperta competizione tra chi fornisce i servizi e tra chi offre le connessioni in fibra ottica, con la Open Fiber in mano alla Cdp, quelle prevalentemente in rame di Tim, quelle aeree in 5G.
Ben più incerta la sorte delle Generali. L’uscita di Francesco Gaetano Caltagirone dal patto di consultazione con Leonardo Del Vecchio vuol dire che l’imprenditore romano presenterà una propria lista, non sappiamo ancora se corta (cioè di minoranza) o lunga (cioè del tutto alternativa a quella dell’attuale cda). Cosa farà Del Vecchio, convergerà su quella di Caltagirone rischiando di sollevare il dubbio su un’azione concertata con conseguente intervento della Consob e dell’Ivass? La risposta dipende dalla strategia industriale, che resta in un porto delle nebbie. Intanto anche Assogestioni prepara i propri nomi. Sarebbe una terza (o quarta?) lista che rappresenta i fondi i quali, presi nel loro insieme, sarebbero i principali azionisti delle Generali. Alcuni sono incerti se sia meglio farsi rappresentare in gruppo o se presentarsi separati, tuttavia Assogestioni, che nella precedente assemblea ha ottenuto il 19 per cento dei voti, vuole interpretare una parte importante nell’equilibrio tra la Mediobanca, azionista numero uno, decisiva nel sostenere l’attuale management, e gli sfidanti Caltagirone e Del Vecchio.
Il governo resterà a guardare? Le Generali sono il salvadanaio degli italiani, ma anche dei titoli di stato con circa 60 miliardi di euro; quindi guai a chi destabilizza. La vera questione è se Mediobanca sarà ancora determinante nella governance e nelle strategie della compagnia o se ci sarà un cambiamento. Davvero la politica resta fuori dalla porta? Del Vecchio è considerato culturalmente berlusconiano sia pur con qualche sbandata per Beppe Grillo nel lontano 2013, mentre la sua Luxottica è cresciuta e opera nel nordest leghista. Caltagirone in politica non pende certo a sinistra, ma vuol tenere un aplomb istituzionale, e nelle Generali si presenta come araldo del cambiamento. Tra Draghi e Mediobanca i rapporti si erano raffreddati negli anni 90, ai tempi delle grandi privatizzazioni. E il capo del governo desidera che, come per Alitalia o per Mps, anche in finanza – dove è stato artefice del testo unico, la principale fonte normativa vigente – si affermi la sua strategia (togliattiana direbbero i cultori della storia politica italiana) di rinnovamento nella continuità. Di qui a marzo si capirà se e come si trasforma il triangolo Milano-Trieste-Roma.