Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlando (Foto LaPresse)

l'intervista

Per la crisi dell'Auto i soliti incentivi non bastano più. Parla Benaglia (Fim Cisl)

Mariarosaria Marchesano

Oggi il tavolo a Palazzo Chigi. "Chiediamo al presidente Draghi e ai ministri competenti un confronto meno sterile di quelli che fino a oggi ci sono stati", ci dice il segretario nazionale dei metalmeccanici della Cisl

La transizione energetica un miracolo lo ha fatto: è riuscita a mettere dalla stessa parte del tavolo i padroni e i lavoratori, gli industriali e il sindacato, vale a dire Federmeccanica, associazione aderente a Confindustria, e Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil. Insieme hanno chiesto al governo – in un documento condiviso, fatto eccezionale in Italia – di occuparsi di più del settore automotive (96 mila miliardi di fatturato, circa il 5,6 per cento del pil) che rischia praticamente l’estinzione per dover raggiungere gli obiettivi previsti dall’Europa con il piano Fit for 55 (stop nel 2035 alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio).

Il Mise guidato da Giancarlo Giorgetti ha prontamente risposto dicendo che “bisogna ascoltare l’industria” e ha confermato la propria partecipazione alla riunione che sul settore auto è stata convocata per oggi a Palazzo Chigi tra i ministeri interessati (non è prevista, però, la presenza del premier Mario Draghi). Tanta solerzia per dare un segnale di attenzione al fronte unito sindacati-imprese che allo Sviluppo economico contesta di aver gestito le crisi aziendali di questi mesi (Marelli e Bosch, solo per fare qualche esempio) un po’ alla vecchia maniera, mentre sarebbe molto più utile di come il settore deve affrontare la transizione energetica. “Vorremmo che accadesse come in Francia e Germania, dove i rispettivi governi hanno convocato le parti sociali per costruire insieme una strategia – dice al Foglio Roberto Benaglia, segretario nazionale dei metalmeccanici della Cisl – Il passaggio dalla mobilità tradizionale a quella elettrica e digitale nel nostro paese rischia di tagliare fuori completamente la filiera della componentistica che è posizionata su tecnologie powertrain oggi messe in discussione”. 

Il messaggio, dunque, è di tipo politico e riflette il timore che il governo se ne esca con i soliti incentivi per rinnovare il parco auto, incentivi che l’industria, certo, non disdegna, ma una simile risposta dimostrerebbe che non c’è ancora un’idea a livello di sistema paese su come mettere in pratica il Fit for 55. Questa misura, se non accompagnata da adeguati interventi, potrebbe portare in Italia a una perdita di circa 73 mila posti di lavoro, di cui 63 mila nel periodo 2025-2030, secondo le ultime stime Anfia-Clepa-Pwc. Già oggi i dati sull’andamento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali forniti dall’Inps indicano la tendenza: nel 2019 sono state utilizzate 26 milioni di ore di cassa integrazione, nel 2021 quasi 60.

“Nella componentistica, poi, lavorano 270 mila addetti, ma chi è abituato a costruire marmitte per motori a scoppio non saprebbe farlo per un motore elettrico – prosegue Benaglia – per questo dico che ci vuole un’industria 4.0 dell’auto o un patto per la transizione. Possono sembrare slogan ma è per dire che non possiamo gestire le vertenze una a una, come abbiamo rischiato di fare al Mise fino a oggi. Chiediamo al presidente Draghi e ai ministri competenti un confronto meno sterile di quelli che fino a oggi ci sono stati. Dalle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza e da quelle dei fondi europei e dei vari programmi di politiche attive, devono essere ricavate le necessarie risorse da destinare al settore automotive in modo da accompagnare sia la transizione industriale sia la reindustrializzazione verso la nuova mobilità”. E’ chiaro che l’obiettivo principale del sindacato in questa fase è soprattutto quello tutelare l’occupazione di un settore ad alto rischio, ma è interessante notare come venga condivisa l’idea di recuperare l’industrializzazione nell’automotive, che nella sua evoluzione verso l’elettrico e il digitale sta vedendo i paesi occidentali perdere la leadership nella tecnologia a favore delle regioni asiatiche.

Ma è pensabile una catena del valore dell’auto elettrica tutta europea?  “Possiamo provare a lavorarci se c’è un’idea condivisa in questo senso di tutto il sistema paese. Certo, occorrono investimenti importanti e i privati devono fare la loro parte. Ma qualche segnale c’è già come si vede dal progetto di Gigafactory che Stellantis ha annunciato di voler fare in Molise. Ma è importante che su progetti come questo si ragioni tutti quanti insieme e nel caso che ottengano un certo sostegno”.

 

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