Un lavoratore davanti a tubi accatastati nel cantiere del Nord Stream 2 sull'isola di Ruegen, Germania (foto di Carsten Koall/Getty Images) 

alla canna del gas

“Aumentare la produzione nazionale di gas per abbassare le bollette”, ci dice Scaroni

Maria Carla Sicilia

“Sbagliato non usare il gas al largo dell’Italia, la produzione attuale si potrebbe realisticamente triplicare in circa 24 mesi”, sostiene  l’ex ad di Eni e di Enel. Dubbi sulla transizione verde: "Avremo momenti in cui mancherà l’energia perché gli investimenti negli idrocarburi si sono ridotti e non abbiamo una produzione di rinnovabili sufficiente per sostituirli”

“Siamo in piena transizione energetica e in Italia le centrali a carbone vanno a manetta. E sa perché? Non perché qualcuno ama produrre CO2, ma perché non abbiamo alternativa: se non andassero a manetta spegneremmo la luce”. Paolo Scaroni risponde così quando gli si fa notare che la crisi dei prezzi energetici ci ha messo di fronte a un paradosso: realizzare che abbiamo incredibilmente bisogno di estrarre il gas sepolto al largo delle nostre coste proprio mentre siamo più impegnati che mai a liberarci dalle fonti fossili. Il governo ci pensa, il ministro Roberto Cingolani lo ha suggerito più volte, Confindustria lo ripete in ogni occasione utile. E così, tra le misure che verranno definite la prossima settimana, l’incremento della produzione nazionale di gas potrebbe essere uno degli interventi strutturali per fornire energia a tariffe controllate ai grandi consumatori industriali.

 

La produzione attuale si potrebbe realisticamente triplicare in circa 24 mesi, fino a rappresentare il 20-25 per cento dei consumi nazionali”, dice al Foglio l’ex ad di Eni e di Enel, oggi deputy chairman di Rothschild e presidente del Milan. Dai circa 4 miliardi di metri cubi prodotti sarebbe dunque possibile arrivare a 12-15 miliardi. “Ma attenzione a immaginare un tetto dei prezzi che renderebbe sconveniente l’estrazione di gas – continua Scaroni – I prezzi bloccati d’imperio non hanno funzionato per secoli e non funzionerebbero ora. Non dimentichiamoci invece che gli idrocarburi sono di proprietà degli stati e non delle compagnie petrolifere: è con le royalty aggiuntive che lo stato incasserebbe aumentando la produzione che si potrebbero ridurre le bollette dell’industria. E non sfruttare le risorse che abbiamo a disposizione sarebbe un errore, soprattutto quando ce n’è più bisogno. Non sarà la soluzione del problema ma è un pezzetto della soluzione”.

    

Per farlo servirebbe procedere con la costruzione delle infrastrutture necessarie allo sfruttamento di tutte quelle esplorazioni già concluse al largo delle coste italiane ma mai portate in produzione. Servirebbe dunque sbloccare il Pitesai, un acronimo che sta per Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee e che in altre parole è una moratoria che blocca ogni prospettiva di investimento nel settore dell’Oil&Gas. Ma in parte – per circa 2 miliardi di metri cubi – basterebbe “solo” autorizzare la perforazione di pozzi aggiuntivi nei giacimenti già in produzione e sostenere la manutenzione straordinaria dei pozzi esistenti. Non può accadere in pochi giorni, ma in pochi mesi forse sì. D’altra parte, i prezzi dell’energia continueranno a essere volatili ancora per un po’. “In autunno subentreranno due fattori a determinare i prezzi”, analizza Scaroni. “Uno è il nodo politico della situazione in Ucraina: se dovesse risolversi, con il North Stream 2 che parte a pieno regime e i russi che tornano a fornirci il gas che non ci hanno fornito questo inverno”, quello in più rispetto a quanto stipulato nei contratti con Gazprom, “allora avremo un deciso ribasso”.

   

Ma secondo l’ex ad di Eni ed Enel, in questa partita c’è poco che l’Unione europea possa fare. “L’indipendenza politica, il poter esprimere opinioni, passa per l’indipendenza energetica. E l’Unione europea ha abdicato alla sua indipendenza energetica”. Il secondo elemento dipende da come la Cina gestirà la sua transizione energetica. “Se i cinesi continueranno a sostituire il carbone con il gas anche per riscaldare milioni di case, allora il prezzo resterà elevato”.

 

Dalla transizione energetica – la più complessa trasformazione tecnologica e industriale della storia, in un’economia che da due secoli si basa sul carbonio – dipenderà molto delle dinamiche dei prezzi che dovremo affrontare in futuro. “Compiere questa transizione è drammaticamente difficile, non abbiamo in mano tutti gli strumenti. Sarà un processo lungo, costoso e doloroso. Soprattutto in un mondo in cui le persone non sono disposte a rinunciare ai consumi energetici che il loro stile di vita prevede”. Aver profetizzato la fine delle fonti fossili senza garantire un’alternativa non ha aiutato. “Penso che avremo delle disruption, dei momenti in cui mancherà l’energia perché gli investimenti negli idrocarburi si sono ridotti e non abbiamo una produzione di rinnovabili sufficiente per sostituirli”. Basta un dato: “Dopo 17 anni di investimenti, il solare e l’eolico soddisfano il 2,5 per cento dei consumi globali. Sembra poco ma è costato 3,4 trilioni di dollari”.

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.