L'inflazione e la resa dei conti con la Modern Monetary Theory
L’illusione di risolvere i problemi facendo deficit e stampando soldi sta svanendo. Ora la realtà bussa alla porta
Alla luce dell’attuale fiammata inflazionistica, soprattutto negli Stati Uniti, dopo due anni di stimoli monetari e fiscali senza precedenti, si dibatte molto sulla bontà della Modern monetary theory (Mmt): una linea di pensiero che sostiene che i disavanzi pubblici non siano un problema perché possono sempre essere finanziati stampando moneta. Quindi è naturale chiedersi se gli eventi di questi ultimi mesi non la smentiscano. Provo a dare il mio contributo, anche visto che nel mio recente libro The agic Money Tree and other economic tales, ho fatto spesso riferimento al concetto di “Magic money tree”. Che ha come acronimo proprio Mmt.
Parlarne in realtà non è così semplice. La Mmt non è molto accreditata (per usare un eufemismo) tra la maggior parte degli economisti, i suoi esponenti non pubblicano sulle principali riviste accademiche di economia, non hanno mai presentato la teoria in un quadro di riferimento completo (un modello?) ma piuttosto con una serie di affermazioni difficili da legare tra di loro. Con chi glielo fa notare, i sostenitori della Mmt si difendono usando una frase di Ghandi, utilizzata chiaramente in un contesto molto diverso: “First they ignore you, then they laugh at you, then they fight you, then you win.”
Nel tentativo di capirci di più, tempo fa ho comprato il libro uscito nel 2020 di Stephanie Kelton, oggi la principale esponente della Mmt, dal titolo “The Deficit Myth”. E’ un New York Times bestseller di cui si è molto parlato, ma che – lo ammetto – non sono riuscito a finire: nonostante sia scritto in modo molto piacevole, facevo fatica a seguirne il filo logico. Altri economisti hanno avuto la mia stessa reazione. Tra questi, Paul Krugman in un editoriale sul New York Times ha scritto: “Ora, discutere con gli esponenti della Mmt sembra generalmente come giocare a un gioco in cui le regole cambiano continuamente: ogni volta che pensi di averli bloccati su qualche proposizione, loro insistono che non hai capito cosa volevano dire. Per questo sono stato contento quando Stephanie Kelton ha risposto al mio tentativo di chiarire ciò che non afferravo con la dottrina... Il problema è che non capisco affatto i suoi argomenti. Se sta dicendo quello che penso stia dicendo, sembra proprio ovviamente indifendibile.”
Pur consapevole quindi di correre qualche rischio interpretativo, affronterò i seguenti temi:
I) Qual è il cuore della Mmt e come differisce dalle teorie “tradizionali”?
II) Perché la Mmt ha avuto tanta eco nei media?
III) Quale dovrebbe essere la “policy prescription” della Mmt in questa fase di inflazione crescente?
Il cuore della MMT
La Mmt sostiene che il bilancio pubblico (spese e tasse) vada utilizzato per garantire la piena occupazione (quella che gli economisti chiamano anche produzione potenziale), anche nel caso ciò richieda disavanzi di bilancio elevati e persistenti, perché questi ultimi possono essere sempre finanziati stampando moneta. L’unica cosa di cui i policymaker si devono preoccupare è l’inflazione, perché a quel punto la banca centrale non può più finanziare disavanzi crescenti senza alimentare ulteriormente la spirale dei prezzi. I sostenitori della Mmt ritengono infatti che l’inflazione salga quando l’economia opera al di sopra del potenziale.
Anche se gli esponenti della Mmt non lo affermano esplicitamente, questa linea di pensiero è in realtà abbastanza coerente con visioni più ortodosse, per le quali, quando l’inflazione sale, la logica conseguenza dovrebbe essere il contenimento di un disavanzo di bilancio evidentemente eccessivo. L’approccio di stampo keynesiano ad esempio ritiene che la politica fiscale, insieme a quella monetaria, abbia tra gli obiettivi quello di stabilizzare l’economia intorno alla piena occupazione. L’Mmt semmai si differenzia perché dà preminenza alla politica di bilancio, mentre la politica monetaria dovrebbe intervenire in seconda battuta per finanziare passivamente i disavanzi di bilancio.
Dove invece credo che la Mmt sia debole è nella poca importanza che attribuisce al debito pubblico. Il debito non può espandersi all’infinito, o comunque oltre la capacità di essere ripagato: un debito in aumento può comportare premi al rischio crescenti che ne dilatano il costo. Quindi l’idea che la politica fiscale possa sempre premere sull’acceleratore per garantire il pieno impiego non può essere sostenibile in tutte le circostanze.
Il successo mediatico della MMT
Non c’è dubbio che la Mmt abbia avuto un discreto successo tra gli organi di informazione. Nella situazione post crisi 2008 e, successivamente, post crisi dei debiti sovrani in Europa, era forte la preoccupazione per i disavanzi pubblici. Una preoccupazione che in alcuni casi ha dominato rispetto a quella di sostenere l’economia e i tassi di occupazione verso il pieno impiego. In parte ciò era dovuto al fatto che la crisi del 2008 e i suoi strascichi europei erano dovuti ai debiti elevati, che si cercava di contenere. La pandemia ha cambiato completamente il quadro, perché i policymaker hanno deciso di rispondere espandendo enormemente i disavanzi di bilancio finanziandosi con emissione di moneta da parte delle banche centrali (anche negli Usa il debito pubblico rispetto al pil è cresciuto circa di 15 punti percentuali). Questa risposta è stata in larga parte efficace e i sostenitori della Mmt hanno cantato vittoria: finalmente la preoccupazione dei conservatori per i disavanzi eccessivi era stata sconfitta.
Grazie all’attenzione sull’occupazione piuttosto che sui disavanzi di bilancio, negli ultimi anni la Mmt ha trovato terreno fertile negli ambienti della sinistra americana di cui fanno parte personaggi come Naomi Klein (icona no-global), James Galbraith (figlio del noto John Kenneth e critico del libero mercato), Bernie Sanders (l’iconico senatore del Vermont) o Alexandria Ocasio-Cortez, anche se credo che nessun politico abbia formalmente adottato la Mmt come teoria economica di riferimento. Anche il New York Times, vicino a questi ambienti, le ha dato spazio. Il rischio è che quando l’economia, come qualsiasi altra disciplina, assume connotati ideologici forti per alimentare posizioni politiche di parte può perdere rigore scientifico.
Inflazione: la ricetta della MMT
Se il primo periodo pandemico sembra suggerire che un paese sovrano possa finanziare il proprio disavanzo pubblico senza limiti, l’esperienza degli ultimi mesi con inflazione crescente suggerisce che, in realtà, prima o poi ci si scontra con un limite. Ora, l’inflazione negli Usa (mi riferisco a quella americana perché sono convinto che la storia in Europa sia molto diversa) è il frutto sia di eccessi di domanda dovuti alle politiche fiscali e monetarie ultraespansive, ma anche – come abbiamo letto dappertutto – a vincoli di offerta (colli di bottiglia nella distribuzione, vincoli all’offerta di lavoro a causa del Covid, etc.). In ogni caso segnala che quando la domanda supera l’offerta, si può creare inflazione. Questo non è in contraddizione con la Mmt. In questo caso, data la priorità che la teoria offre alla politica di bilancio, la logica conseguenza per contenere l’inflazione dovrebbe essere quella di ridurre il disavanzo pubblico, in modo da riportare la domanda a livello del prodotto potenziale. Ma questa non è la linea che stanno sposando gli esponenti della Mmt, i quali apparentemente non hanno nulla da dire su quali siano le politiche migliori per rimettere l’inflazione sotto controllo. La Kelton ha scritto in un recente blog che “la Mmt non ha una ricetta per affrontare l’inflazione”. Altri esponenti (Warren Mosler e Randy Wray) hanno anche sostenuto che alzare i tassi d’interesse tende a spingere i prezzi verso l’alto piuttosto che verso il basso: la ricetta che Erdogan sta applicando in Turchia, con dubbi risultati. La mia ipotesi è che gli esponenti della Mmt si guardino bene dal suggerire una ricetta per combattere l’inflazione che verrebbe definita di “austerità”, una posizione certo non gradita ai loro sostenitori.
Nel complesso, dunque, la Mmt è costituita da affermazioni che in alcune circostanze non sono incoerenti con approcci più tradizionali (mentre in altre lo sono), ma che hanno avuto come principale obiettivo soprattutto quello di combattere l’atteggiamento dei conservatori americani (e internazionali) di avversione a disavanzi pubblici significativi e persistenti. Le politiche messe in atto durante la pandemia sono state un grande esperimento che ha dimostrato come ci siano circostanze in cui la politica fiscale e monetaria possono collaborare in modo efficace per sostenere l’economia, che è certamente una delle indicazioni sostenute dalla Mmt. Ma anche che queste hanno dei limiti, scontrandosi con la capacità dell’economia reale di rispondere agli stimoli senza creare disequilibri macroeconomici come un’elevata inflazione elevata. Insomma, nulla di più tradizionale!
Ma per i nostri problemi economici dovremmo affidarci di meno a soluzioni taumaturgiche. Le politiche monetarie e fiscali hanno per forza limiti alla loro efficacia: non possono da sole aumentare la crescita potenziale delle nostre economie.
Lorenzo Forni, Università di Padova e Prometeia