E' sparita la concorrenza. Urge una riforma del codice degli appalti, dice Cna
Le oltre 100mila micro imprese che ogni giorno vanno sul mercato globale si aspettano un ambiente più favorevole alla libera competizione. Ecco dove intervenire
Nel patrimonio culturale degli artigiani e delle piccole imprese è ben scolpito il valore della concorrenza. Rappresenta il naturale ambiente nel quale misurarsi, come testimoniano le oltre 100 mila micro imprese che ogni giorno competono sul mercato globale, fornendo un rilevante contributo al record dell’export. Le piccole imprese vivono di concorrenza e contribuiscono ad assicurare la competitività del mercato, dando un’offerta plurale a vantaggio dei consumatori. Piuttosto la tradizione giuridica e la dominante cultura economica dall’Unità d’Italia hanno sempre manifestato una certa allergia alle legislazioni favorevoli alla concorrenza.
Il crimen monopolii previsto nel diritto romano che ha forgiato l’architettura normativa europea per contrastare la concorrenza sleale fu abolito in Italia alla fine dell’800 lasciando un vuoto. Soltanto nel 1990 e su forte impulso dell’Unione europea il nostro paese si è dotato di una legge organica per la tutela della concorrenza, un secolo dopo lo Sherman Act approvato dal Congresso degli Stati Uniti. Questo breve excursus storico aiuta a comprendere le croniche difficoltà che incontra la legge annuale per il mercato e la concorrenza. Un modello introdotto nel 2009 con l’idea di monitorare ed eventualmente correggere in modo costante le norme all’interno di una strategia univoca.
Purtroppo dal 2009 a oggi la legge annuale è stata approvata soltanto nel 2017 al termine di un percorso parlamentare assai accidentato, perdendo pezzi per strada e con ripensamenti nella fase attuativa. L’aggiornamento della disciplina della concorrenza in discussione al Senato rappresenta quindi un tema particolarmente avvertito da artigiani e piccole imprese nello spirito della dottrina anglosassone del restraint of trade (norme per non limitare la concorrenza). Questo perché la concorrenza risponde all’esigenza di difendere i soggetti economicamente più fragili dagli abusi di coloro che godono di posizioni di mercato dominanti. Tuttavia, troppe volte in Italia la promozione della concorrenza ha prodotto effetti perversi, i quali hanno finito per mettere “piccoli” in contrasto con altri “piccoli”, o peggio ancora hanno aperto la strada a grandi operatori che hanno finito per avere il sopravvento. Risulta sorprendente che su un tema così importante per il futuro dell’Italia il dibattito pubblico si concentri sulle concessioni balneari e sui taxi, ulteriore conferma che sulle questioni del mercato e della concorrenza prevale una certa confusione. Sul fronte delle imprese balneari, infatti, il processo di mappatura del demanio marittimo, che intende realizzare il governo, farà emergere come vi sia ampia disponibilità di spiagge nel nostro paese. Motivo per cui, oltre ai rapporti concessori in essere, vi sono molte aree libere che possono essere valorizzate sotto al profilo turistico, attraverso nuove assegnazioni in regime competitivo. Un sistema in grado di garantire la continuità dell’attuale offerta e l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nel rispetto della tutela dell’ecosistema e delle caratteristiche naturali dei luoghi.
Quanto ai taxi, trattandosi di un servizio pubblico essenziale, il settore non può essere assimilato a qualsiasi attività di natura commerciale. Esige, al contrario, un mercato regolato, affinché venga assicurata la necessaria professionalità del servizio, l’esigenza di una mobilità efficiente e la tutela degli operatori. Stupisce piuttosto che il testo del provvedimento all’esame del Parlamento non intervenga su ambiti rilevanti che ostacolano l’affermarsi dei princìpi del libero mercato. Mancano misure per arginare oligopoli e monopoli che prevalentemente vedono protagoniste partecipate statali e municipalizzate, perpetuando il falso principio sulla ineluttabilità dei monopoli naturali. Una concezione che il mondo anglosassone ha spazzato via già nel 600 con lo Statute of Monopolies, l’atto che cancella il monopolio del sovrano e che rappresenta le radici dell’antimonopolismo.
Il valore della concorrenza dovrebbe essere affermato con una riforma del codice degli appalti invertendo una preoccupante dinamica rappresentata dalla costante concentrazione del mercato. Soltanto il 15 per cento del valore complessivo delle gare pubbliche è accessibile a quasi il 97 per cento delle imprese italiane. Il risultato è che non si sfrutta la domanda pubblica quale potente strumento di politica industriale per favorire la crescita dimensionale e qualitativa delle imprese.
Nel cammino per rafforzare la cultura della concorrenza non va trascurata la circostanza che si tratta di un processo che deve essere sorretto da una strategia chiara e unitaria. Nella misurazione del grado di concorrenza entrano in gioco molte variabili che devono essere in equilibrio: complessità della regolazione, ostacoli nell’avvio dell’impresa, tempi e costi della giustizia, incidenza dell’impresa pubblica sono indicatori determinanti per creare un ambiente favorevole alla concorrenza. Ma di tutto ciò non c’è traccia nel dibattito pubblico, poco incline a seguire l’insegnamento del padre della legge antitrust italiana, Guido Rossi, sull’importanza delle regole del gioco, e più interessato al gioco delle regole.
Sergio Silvestrini
segretario generale Cna