Il disastro del Bonus facciate e le surreali critiche a Draghi e Franco

Luciano Capone

Le frodi non sono sul Supebonus ma sul credito per il rifacimento delle facciate, dice il M5s. Ma è sempre una norma del governo Conte, o meglio di Franceschini, che Palazzo Chigi e Mef volevano togliere e Pd-M5s hanno fatto prorogare

Nei giorni scorsi, dopo le nette dichiarazioni del premier Mario Draghi e del ministro dell’Economia Daniele Franco sulle frodi legate ai bonus edilizi, abbiamo assistito a una polemica surreale. Il principale partito di maggioranza, il M5s, ha attaccato duramente Draghi e Franco affermando che per la gran parte le truffe sulla cessione dei crediti fiscali accertate dall’Agenzia delle Entrate non riguardano il Superbonus 110% ma il “Bonus facciate”. Ma non si comprende bene il senso dell’argomentazione, per il semplice fatto che anche il Bonus facciate è stato introdotto dal governo Conte.

 

In effetti, secondo i dati riportati in audizione alla commissione Bilancio del Senato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini, su circa 4,4 miliardi di crediti d’imposta inesistenti individuati insieme alla Guardia di Finanza, il 46% riguarda il “Bonus facciate” e solo il 3% il Superbonus (il resto sono altri ecobonus e agevolazioni). E questo su un ammontare analogo di comunicazioni (1,4 milioni) e di importo (13,5 miliardi di euro) per ognuno dei due bonus. Però non si capisce questo cosa c’entri con la critica a Draghi e Franco che hanno semplicemente denunciato, oltre agli effetti distorsivi di questi incentivi, l’elevato numero di frodi legato principalmente alla mancanza di controlli e alla cessione dei crediti.

 

Avrebbe avuto senso se fossero stati Draghi e Franco ad aver introdotto il Bonus facciate o a volerlo estendere. E invece, e questo è ciò che rende ancora più paradossale la replica piccata, loro volevano abolirlo. Infatti il “Bonus facciate” era stato escluso dalla bozza di legge di Bilancio. Se ci è rientrato, con un compromesso che ha ridotto l’agevolazione dal 90 al 60%, è stato proprio per la strenua insistenza di alcuni partiti di maggioranza, in particolare il Pd, e più specificamente il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che è stato l’ideatore e promotore del bonus. E pertanto, si tratta di un’operazione totalmente perpetrata dalle forze che animavano il governo Conte.

 

Quella che è una delle peggiori politiche mai realizzate nella storia repubblicana ha origine nel 2019 con la legge di Bilancio impostata dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri: “Nella legge di bilancio una norma coraggiosa che renderà più belle le città italiane. Con il Bonus Facciate un credito fiscale del 90% per chi rifà nel 2020 la facciata di casa o del condominio, in centro storico o in periferia, nelle grandi città o nei piccoli comuni”, twittava Franceschini. Il bonus è stato poi prorogato, identico l’anno seguente per coprire il 2021.

 

La proposta, ribattezzata dal Mibact “norma Franceschini”, traeva ispirazione da una legge approvata in Francia nel 1962 dal governo De Gaulle, chiamata “loi Malraux”, dal nome di André Malraux che esattamente come Franceschini era ministro della Cultura e scrittore. Il problema è che in realtà la legge Franceschini è molto diversa dalla loi Malraux. Perché in Francia l’agevolazione fiscale riguarda la salvaguardia di aree “che presentino caratteristiche storiche, estetiche o suscettibili di giustificare la conservazione, il restauro e lo sviluppo di tutto o parte di un complesso di edifici”. Si tratta di aree urbane abbastanza delimitate (in Francia ci sono circa 100 città con un settore protetto in cui sono consentiti gli investimenti ai sensi della legge Malraux) e individuate dallo Stato e dai comuni sulla base di piani urbanistici dettagliati. Inoltre, il credito d’imposta – a seconda delle caratteristiche della zona – è del 22% o, al massimo, del 30%. Per giunta, chi usufruisce dell’agevolazione fiscale deve sottostare a una serie di condizioni stringenti, tra cui l’impegno ad affittare l’immobile nei 9 anni successivi e, in alcuni casi, l’obbligo a rinnovare le facciate ogni dieci anni.

 

Nulla di tutto questo riguarda il Bonus facciate, che non è rivolto specifiche zone di interesse storico-culturale, ma in sostanza qualsiasi area abitata (“in centro storico o in periferia, nelle grandi città o nei piccoli comuni”, come diceva Franceschini). Il credito poi è il triplo, il 90%: quasi l’intero investimento è a carico dello stato e senza limiti di spesa. Condizioni sostanzialmente non ce ne sono e controlli ancor meno. In pratica una norma che non solo sperpera risorse ma quasi istiga a frodare lo stato.

 

Dopo il Cashback sospeso prima del suo termine naturale, il Bonus facciate è stata una delle prime misure che Draghi e Franco volevano portare su un binario morto alla sua scadenza. Ma nella maggioranza si è innescata una dinamica di scambio di favori (logrolling) tra M5s e Pd, che ha portato il Pd a sostenere il rinnovo del Superbonus voluto dal M5s e il M5s a sostenere la proroga del Bonus facciate sostenuta dal Pd. Alle altre forze politiche fare decine di miliardi di deficit per l’edilizia non dispiaceva affatto, anzi, e così Draghi e Franco sono usciti sconfitti su entrambi i fronti. Accusare il premier e il ministro dell’Economia di non aver impedito gli sperperi e le truffe è giusto, ma è ridicolo se a farlo sono le forze politiche che quelle norme le hanno volute e con ostinazione mantenute.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali