La crisi e gli errori della transizione energetica. Parla Tabarelli
Ormai è sempre più chiaro che il desiderio di politiche green ha indotto i governi europei a ridurre l’uso delle fonti fossili più velocemente rispetto all’introduzione di quelle rinnovabili, contribuendo a causare l’attuale deficit energetico
La prospettiva di un freno diplomatico all’escalation russo-ucraina ridà fiato ai mercati finanziari, ma la tensione resta alta per il timore che la crisi del gas europeo si rifletta sulle prospettive di inflazione e di crescita economica. In Europa, le scorte sono eccezionalmente basse e solo un clima mite ne ha rallentato l’erosione, come spiega un’analisi del centro studi di Intesa Sanpaolo in cui si ipotizza che anche se i prezzi di gas ed energia dovessero diminuire nei prossimi mesi, rimarrebbero persistentemente sopra la media degli ultimi cinque anni. “In questo contesto, l’Italia rischia di lasciare due punti percentuali di pil sul tappeto nel 2022”, avverte l’economista e presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli. “La crisi tra Mosca e Kiev sta rendendo più evidenti errori e ipocrisie di una transizione accelerata e non pianificata – prosegue –. Per esempio, se introduciamo l’ambiente nei principi fondamentali della nostra costituzione, dovremmo anche essere pronti a indagare perché paghiamo per ogni chilowattora di gas un prezzo che è quattro volte superiore a quello di soli due anni fa”.
Ormai è sempre più chiaro che il desiderio di politiche green ha indotto i governi europei a ridurre l’uso delle fonti fossili più velocemente rispetto all’introduzione di quelle rinnovabili contribuendo a causare l’attuale deficit energetico.
Ma per Tabarelli c’è un altro aspetto che andrebbe approfondito e invece pochi ne parlano. “Si registra una volatilità esasperata sul mercato libero in cui opera una pluralità di soggetti al di fuori di ogni controllo”. Sospetta che alcuni importatori stiano approfittando della situazione? “Partiamo da un dato: il nostro paese dipende per il 40 per cento delle forniture russe. Ma i grandi gruppi comprano direttamente da Gazprom e lo fanno con contratti di lungo periodo e a prezzi fissati. Di questi movimenti c’è traccia e da quando si è inasprita la crisi con l’Ucraina si registra qualche oscillazione nei volumi ma nulla di così preoccupante. Di contro, c’è una miriade di piccoli e medi operatori che si muove in un circuito di secondo livello che funziona a prezzi spot. E’ da qui che arrivano aumenti vertiginosi: il prezzo medio per chilowattora è passato da 20 euro a fine 2019 a 80 euro di oggi, con punte di 120-180 nelle settimane passate. C’è qualcosa che non quadra, ma non sappiamo ancora che cosa, possiamo solo immaginare che qualcuno stia registrando rilevanti extra profitti”.
La crisi del gas, insomma, mostra anche i limiti del libero mercato energetico a cui l’Italia ha dato grande credito negli ultimi 10 anni e sarebbe paradossale scoprire che aver favorito una maggiore concorrenza abbia portato un aggravio di spesa per le famiglie invece che benefici. Situazioni analoghe sono avvenute in tutta Europa dove è stata ridotta la quantità di contratti di gas naturale a lungo termine in favore dell’acquisto sul mercato libero con l’obiettivo di evitare che questi contratti finanziassero l’industria dei combustibili fossili. Così il Vecchio Continente è diventato sempre più dipendente dall’approvvigionamento globale di gas. In primis la Germania, che nel 2021 ha importato dalla Russia 56 miliardi di metri cubi. Al secondo posto c’è l’Italia che ha acquistato 29 miliardi di metri cubi, con un incremento del 2,3 per cento rispetto al 2020. La principale conseguenza di un’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca sarebbe un forte aumento dei prezzi del petrolio e dell’energia, perché Stati Uniti ed Europa risponderebbero con sanzioni che renderebbero ancora più complicati gli approvvigionamenti. E questo provocherebbe una maggiore pressione sull’inflazione a medio termine e anche sui tassi.
Ma come se ne esce? “Accelerando l’apertura di North Stream 2, il gasdotto sottomarino che collega direttamente Russia e Germania bypassando l’Ucraina – dice l’economista – Sebbene l’agenzia federale tedesca abbia detto che bisogna rivedere l’attivazione del gasdotto, questa resta l’unica soluzione concreta per aumentare l’offerta di gas in Europa nel breve-medio termine visto che le navi provenienti dagli Stati Uniti riuscirebbero a coprire solo una minima parte del fabbisogno. Spero che da questa esperienza la Germania e tutta l’Europa imparino a calibrare la sensibilità per il tema ambiente con la necessità di non far mancare fonti energetiche all’industria e questo non può avvenire se si insiste con il puntare al 100 per cento di rinnovabili, a meno che non si immagini un mondo povero o popolato solo di 500 milioni di persone”.