Senza Russia le imprese italiane sono in un “vicolo cieco”
le banche e aziende italiane che a fine gennaio hanno partecipato alla videoconferenza con Vladimir Putin mostrano un necessario desiderio di dialogo nel momento in cui le tensioni internazionali si stanno aggravando. Parla Antonio Fallico
Lo schieramento di banche e imprese italiane che a fine gennaio ha partecipato alla videoconferenza con Vladimir Putin – nonostante le pressioni politiche che facevano rilevare l’inopportunità dell’incontro in piena escalation della crisi russo-ucraina – e la massiccia presenza di operatori economici al seminario italo-russo che l’associazione Conoscere l’Eurasia ha promosso ieri a Milano – con la partecipazione di alti rappresentanti del governo di Mosca – vanno oltre la sola tutela dei propri investimenti. C’è un desiderio di dialogo nel momento in cui le tensioni internazionali si stanno aggravando.
Ieri il premier Mario Draghi ha annunciato che volerà a Mosca per incontrare Vladimir Putin e ha aggiunto che bisogna “usare con determinazione tutti i canali di dialogo”. Tra questi canali c’è anche quello economico? “Esiste una diplomazia del business che sta crescendo – dice al Foglio Antonio Fallico, presidente di Conoscere l’Eurasia e numero uno di Banca Intesa Russia – Gli imprenditori possono influenzare la diplomazia politica tradizionale, promuovendo i reali interessi delle economie nazionali e sovranazionali e proponendo soluzioni. Ma non è una novità. Ci sono storie esemplari del passato: negli anni Sessanta la Fiat di Vittorio Valletta entrò nella Russia comunista siglando un accordo storico per l’apertura di una fabbrica in una città che portava il nome di Palmiro Togliatti. Erano i tempi della Guerra fredda e l’accordo si rivelò un grande vantaggio per la Fiat ma anche per centinaia di imprese italiane dell’indotto. Anni prima, l’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei, per svincolarsi dalle Sette Sorelle, sottoscrisse più di un accordo con l’Unione sovietica per l’estrazione di petrolio. In entrambi i casi i rapporti tra Italia e Russia ne uscirono rafforzati a tutti i livelli”.
Per Fallico, che ha insegnato per quasi vent’anni economia all’Università di Verona, è esperto di filologia e ha ricevuto in Italia diverse onorificenze dai presidenti della Repubblica per la sua incessante attività di cura delle relazioni economiche e culturali con la Russia dai tempi della cortina di ferro, “se la politica nazionale fatica a trovare un positivo e vantaggioso rapporto con la Federazione russa, le imprese devono sentirsi libere di intensificare i loro rapporti strategici adottando tutti gli strumenti e cogliendo le opportunità che favoriscono il business”. In ballo, assicura, non ci sono solo le forniture di gas e un interscambio commerciale Italia-Russia cresciuto del 50 per cento nel 2021, ma commesse future per 120-130 miliardi di dollari nei settori delle infrastrutture, delle nuove tecnologie e della produzione energetica. “Vuol dire un’enorme ricaduta economica e occupazionale per il nostro paese”.
Ma possono gli operatori economici muoversi al di fuori di un quadro politico nazionale ed europeo nel momento in cui esiste una minaccia di attacco militare della Russia nei confronti dell’Ucraina e l’Italia deve salvaguardare i suoi rapporti con gli Stati Uniti e la presenza nella Nato? “La storia dice che la Russia non ha mai attaccato nessuno, si è sempre difesa – obietta – Mi domando se la previsione di una sua invasione provocatoriamente preannunciata dagli Stati Uniti non sia un nuovo pretesto per un allargamento a est della Nato con armi, missili, truppe e basi navali. Del resto, secondo dati forniti dal servizio ricerche del Congresso americano, gli Stati Uniti dal 1991 a oggi hanno fornito all’Ucraina assistenza militare per 6,5 miliardi di dollari. Ma al di là di queste considerazioni, ritengo che il presidente Joe Biden stia facendo un ottimo lavoro di mediazione con l’ala più estrema del Pentagono e che per questa ragione la sua figura venga sistematicamente sottovalutata”.
Dal punto di vista geografico, la Russia ha il 23 per cento del suo territorio e il 75 per cento dei suoi abitanti in Europa che rifornisce (l’Italia più di tutti) di grandi quantità di fonti energetiche. Per Fallico immaginare un’architettura di sicurezza per l’Europa senza la Russia “è un vicolo cieco”, ma ammette: “Anche la Russia ha bisogno dell’Europa che rappresenta il suo principale mercato di sbocco per la vendita delle materie prime e fonte di approvvigionamento di tecnologie produttive. Credo, però, che vada superata la logica delle sanzioni perché si è visto che non serve per raggiungere gli obiettivi dichiarati e finisce col danneggiare le imprese italiane che con la Russia hanno rapporti economici”.