Il bonus per l'edilizia ha anche qualche merito. Numeri oltre le truffe
Che rapporto c’è tra le agevolazioni fiscali sugli interventi di ristrutturazione e il rimbalzo del pil. Qualche dato per capire
Anche per i bonus edilizi e relativi scandali arriva il momento in cui si tenta di risolvere tutto con l’inasprimento delle pene. L’abusata soluzione carceraria, con la minaccia di detenzione per chi assevera lavori mai realizzati e finanziati con qualche beneficio fiscale, è stata proposta tra cabina di regia e Consiglio dei ministri ieri. Come al solito è una misura scelta per ostentazione, per farsi vedere in giro con la faccia feroce, ma serve a quasi niente. Perché poi non c’è bisogno di manette (le sanzioni già esistevano, comunque) ma di un po’ di saggezza regolatoria, con cui togliere le tentazioni predatorie e, cosa altrettanto importante, salvare la parte efficiente dei bonus. L’errore, da cui nasce il desiderio di intervenire addirittura con pene detentive, è stato fatto poco più di un anno fa, sono serviti mesi per eliminarlo e ce ne vorranno ancora altri per arginare i danni e provare a recuperare il denaro spostato con frodi.
La grande confusione che ha rischiato di travolgere l’intero sistema di incentivi nasce con l’estensione della cedibilità dei crediti, prevista inizialmente per il famoso bonus del 110 per cento, a tutti i vari regimi speciali di beneficio fiscale previsti per interventi edilizi, di efficientamento energetico, per il rifacimento delle facciate, per la ricostruzione con criteri antisismici nelle aree colpite da terremoti. La montagna di soldi, più di 4 miliardi, individuata dall’Agenzia delle entrate come possibile importo della somma delle truffe commesse in pochi mesi, si è potuta formare proprio con il concorso di diversi tipi di beneficio fiscale ma, come è ormai noto, le frodi legate al solo strumento del sostegno pari al 110 per cento dell’importo dei lavori sono solo 3 ogni 100 rilevate. Magistratura e Agenzia delle entrate stanno lavorando con buoni risultati e le somme sequestrate sono già oltre la metà del totale di truffe realizzate.
Perché, e qui veniamo al buono dei bonus, malgrado la nascita di aziende estemporanee, a volte apparse dal nulla e nel nulla rientrate dopo aver girato ad altri i crediti di qualche bonus, il sistema degli incentivi ha portato a una maggiore conoscibilità di ciò che ruota attorno al business delle ristrutturazioni edilizie, facilitando il compito dei controllori. Certo, sarebbe stato meglio evitare proprio l’impazzimento del 2021, ma ormai è andata. È un fatto importante però la valorizzazione della maggiore conoscenza del business edilizio da parte delle agenzie pubbliche, perché l’idea stessa dei bonus nasce con questo intento. Era il 1998 quando apparve il primo di una lunga serie di incentivi per ristrutturare il patrimonio immobiliare italiano. Primo impulso dalla Cna e progetto rapidamente fatto proprio dal governo di centrosinistra, con l’obiettivo non tanto di dare un sostegno economico alla proprietà immobiliare quanto di spingere, in modo non manettaro, le aziende edili, soprattutto le microaziende e i proprietari di immobili, a uscire dal nero e a emergere in piena visibilità fiscale. Perché i benefici finanziari per il committente arrivavano in forma, appunto, di riduzione rateale degli obblighi tributari negli anni successivi all’intervento. Un gigantesco mondo parallelo di economia grigia se non proprio nera cominciò ad affiorare e lo strumento non è più stato accantonato, anzi, è stata via via aumentata la percentuale dell’incentivo.
La vicenda è esemplare perché indica cosa va salvato dei vari regimi di beneficio e cosa è destinato a durare solo per una breve stagione. Il 110 per cento è stato dichiaratamente una misura di emergenza, fra le tante, e come tale è avviato a cessare. Ha aiutato i ricchi e spostato risorse verso la proprietà immobiliare mentre il paese ha ben altri conti aperti (è la tesi di molti economisti, espressa e sottoscritta dal ministrodello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti con la battuta sul finanziamento della ristrutturazione a carico dello stato della quinta casa al mare di qualche fortunato rentier, mentre si fatica a trovare finanziamenti per salvare l’industria dell’automobile). Ma è anche vero che ha scosso un settore nel quale è rapida l’attivazione di lavoro e nel quale i sindacati denunciavano la perdita di 600 mila posti.
Il problema è sempre quello dei modi e dei tempi del graduale calo di applicabilità della norma fino alla sua sparizione. Di colpo ora non si potrebbe, ma anche l’annuncio di brevi finestre temporali di applicazione porta danni, perché costringe a intasare i lavori in tempi brevi con una strozzatura della domanda di personale e di prodotti e materie prime. Serve una disintossicazione ben fatta, non con proroghe ma con una prospettiva abbastanza lunga per assorbire almeno la parte sana, non truffaldina, della domanda di interventi attualmente bloccata nel limbo della non cedibilità, con le banche che ora ostentatamente non vogliono essere coinvolte nelle operazioni sui crediti verso l’erario generati dai bonus. E dopo va recuperata l’impostazione iniziale di questi provvedimenti, grazie ai quali, comunque, l’economia dell’edilizia e della rigenerazione urbana ha potuto riavvicinarsi ai livelli occupazionali e di fatturato precedenti non a quest’ultima crisi, ma a quella del 2009, quando arrivò la vera batosta sull’immobiliare italiano.