L'economia russa è fragile, ma l'Europa dipende ancora troppo dai rubinetti di Putin
Il gas russo è un'arma a doppio taglio. Un embargo sarebbe disastroso per i mercati e doloroso soprattutto per l’Europa (a cominciare da Italia e Germania), però prosciugherebbe le risorse monetarie di Mosca
Quante divisioni ha Putin? Più del papa certamente, scrive sarcastico l’Economist. Sul piano militare se la batte con la Nato. Su quello economico il suo reparto d’assalto si chiama gas, tuttavia è un’arma a doppio taglio: un embargo sarebbe disastroso per i mercati e doloroso soprattutto per l’Europa (a cominciare da Italia e Germania), però prosciugherebbe le risorse monetarie di Mosca. Proprio l’economia è il principale punto debole del nuovo zar, spiega il rapporto della Banca mondiale dedicato alla Russia.
Putin ha cercato in questi anni di creare una propria fortezza attraverso le esportazioni di materie prime. La sua bilancia dei pagamenti ha un attivo pari al 7 per cento del prodotto nazionale lordo, ma è diventata sempre più dipendente da miniere e tecnologia militare. L’apparato industriale non è diversificato, sottolinea la World Bank, e questo indebolisce il paese.
Sotto Putin l’economia ha attraversato due fasi molto diverse: dal 1999 al 2008 è aumentata del 7 per cento all’anno, poi è entrata in stagnazione con uno sviluppo medio dell’1 per cento. Quando gas e greggio salgono la Russia cresce, quando scendono va in crisi. La pandemia ha inferto un duro colpo. Nella prima metà del 2021 il pil ha avuto un buon rimbalzo, ma s’è ridimensionato nella seconda parte dell’anno. Le stime della Banca mondiale prevedono 2,2 per cento in più nel 2022 e 1,8 per cento nel 2023, tuttavia la guerra in Ucraina cambia lo scenario. “La Russia continua a fronteggiare un basso potenziale che le impedisce di raggiungere più elevati standard di vita per la popolazione”, scrive la World Bank che colloca il reddito pro capite russo al 51esimo posto (quello italiano è al 25esimo).
Le sanzioni avranno senz’altro un effetto recessivo, il rublo è ai minimi sul dollaro che si rafforza ovunque. Peggio avverrà se davvero la Russia sarà tagliata fuori dai mercati dei capitali. E’ difficile bloccare il sistema internazionale dei pagamenti Swift e potrebbe non bastare, Mosca ha messo fieno in cascina: con l’aumento dei prezzi petroliferi, si è assicurata riserve per oltre 600 miliardi di dollari, tuttavia l’invasione dell’Ucraina sarà costosa da tutti i punti di vista. La questione cruciale, dunque, riguarda l’arma energetica.
La Russia produce 11 milioni di barili di petrolio al giorno (al terzo posto dopo Stati Uniti e Arabia Saudita) circa la metà viene esportata. A differenza dal gas che dipende dal monopolio di stato Gazprom, il greggio è in mano a numerose compagnie private, un embargo occidentale le metterebbe in ginocchio creando seri problemi alle forniture domestiche. L’export di gas è più concentrato verso l’Europa, dipendente da Mosca per il 40 per cento dei suoi consumi. Se fosse Putin a girare la chiavetta sarebbero seri guai: la produzione africana di gas è in declino, non sono stati potenziati i gasdotti (a cominciare da quello con l’Algeria) e i vasti giacimenti scoperti nel Mediterraneo come quello al largo dell’Egitto non sono ancora pienamente sfruttati. Il governo italiano sta discutendo di rinegoziare in sede europea l’accordo con l’Algeria (la Trans Mediterranean Pipeline), si può aumentare entro certi limiti il flusso della Tap dall’Azerbaijan al Mar Caspio, ma l’unica vera alternativa è il gas liquefatto (Gnl) spiega la Clear View Energy Partners di Washington.
Se ne sentono di tutti i colori e il complottismo buca già gli schermi televisivi: la guerra in Ucraina avvantaggia gli Stati Uniti (la variante più radicale dice che l’ha voluta Biden) i quali così possono vendere il loro gas da scisti (messaggio che arriva direttamente da Mosca). Ma il Gnl trasportato via nave potrebbe rimpiazzare il metano russo? Allo stato attuale no, né in Europa né in Italia dove ci sono solo tre rigassificatori. La Spagna ne ha ben sei, in due di essi è azionista Endesa, la compagnia elettrica spagnola controllata dall’Enel. Ma nessuno ha mai pensato di collegarli alla rete italiana, il gas esportato va per lo più nella Francia nucleare e nuclearista. Se si blocca il gasdotto che passa per l’Ucraina c’è la possibilità di far arrivare il metano attraverso i tubi che scendono dalla Bielorussia e dalla Polonia. Se si ferma per motivi politico-militari l’intero flusso russo, l’Italia può tirare avanti fino all’autunno. Nemmeno gli Stati Uniti producono abbastanza gas per rifornire in modo massiccio l’Europa e l’amministrazione Biden sta discutendo con Giappone, Canada e Qatar, una trattativa condotta anche dal governo italiano. Ci vorrà tempo e bisognerà scontare prezzi alti, anche più di quelli attuali. Ma siamo in guerra anche se molti ancora non ci credono.