crisi alimentare
La guerra non mette in difficoltà l'industria di pasta e dolci. I prezzi, sì
Più che sul grano duro, le preoccupazioni dei produttori italiani sono rivolte al grano tenero (importante anche per l'allevamento). Ecco perché oltre al conflitto influisce anche la fluttuazione del valore delle merci, dovuta a fattori speculativi
Gli effetti di un intervento militare non si esauriscono mai all’interno dei confini dei paesi coinvolti e l’invasione russa dell’Ucraina non fa eccezione. La situazione del granaio d’Europa, come è tradizionalmente chiamata l’Ucraina, deve preoccupare il settore italiano dell’alimentazione? Per evitare un grosso fraintendimento è necessario distinguere subito tra grano duro e grano tenero. Il grano duro viene utilizzato per produrre la pasta, mentre con il grano tenero si preparano prevalentemente i prodotti da forno e i lievitati come dolci, pizza e pane. “Per l’Italia, l’Ucraina e la Russia sono fornitori di grano duro quasi irrilevanti”, dice Valerio Filetti, presidente di A.G.E.R., la borsa merci agricole di Bologna. “Purtroppo negli ultimi due giorni è stato molto facile sentire cose errate, secondo le quali se l’Ucraina non ci manda il grano non facciamo più la pasta. Non è per nulla così. La percentuale di grano duro che riceviamo da Ucraina e Russia è molto limitata. Nell’Est Europa il vero grande fornitore di grano duro è il Kazakistan, mentre a livello mondiale è il Canada”.
Eventualmente, la preoccupazione si deve spostare verso il settore dolciario e della panificazione, che si basa fortemente sul grano tenero, ma Vincenzo Divella, cavaliere del Lavoro e amministratore delegato del pastificio Divella, è fiducioso: “Le scorte che abbiamo sono sufficienti per uno o due mesi e comunque c’è possibilità di sostituire il grano ucraino con quello proveniente da altri paesi come gli Stati Uniti e l’Australia, anche se a costi maggiori. Il vero problema di questo momento – prosegue Divella – è di tipo logistico: non sappiamo quando le navi cariche di grano potranno partire perché i porti ucraini come quello di Odessa o sul Marz d’Azov non sono più operativi. Io stesso sto attendendo la partenza di una nave”. Inoltre, come si è visto recentemente, affinché un porto commerciale ritorni a pieno ritmo è necessario un lungo periodo di tempo.
L’Italia importa circa il 20 per cento del grano tenero dall’Ucraina, ma solo una parte di questo viene utilizzato per scopi alimentari. L’altro impiego estremamente importante è quello zootecnico, spiega Filetti. “Dall’Ucraina riceviamo anche molti prodotti per preparare mangimi, come piselli, polpa di barbabietola e prodotti derivati dal girasole, come la farina. Mentre per l’industria alimentare è possibile trovare altre fonti di approvvigionamento, per questo settore individuare delle alternative è più complesso perché sono prodotti molto particolari nei quali l’Ucraina è specializzata. Sebbene anche i mangimi vengano stoccati in grosse quantità, la speranza è comunque quella che il conflitto finisca presto”.
Alcuni mercati potrebbero soffrire maggiormente delle difficoltà legate alla mancanza di grano tenero. Per esempio i paesi nel Nord Africa, che oltre a importare una quantità superiore di grano rispetto all’Italia, sono commercialmente più dipendenti dalla Russia e dall’Ucraina. La volatilità che in seguito all’invasione russa ha caratterizzato i mercati finanziari, non ha risparmiato nemmeno quelli agricoli. Il presidente di A.G.E.R. riferisce che giovedì i prezzi su alcuni cereali sono aumentati fino al 7-8 per cento a riprova del fatto che, nonostante i vari avvisi dei giorni precedenti, nessuno si aspettava davvero un attacco militare di questa portata. Oltre alla sorpresa, però, c’è anche il fattore speculativo, che permette grossi guadagni in situazioni di così elevata incertezza. Nonostante i prezzi di alcuni beni abbiano raggiunto il picco massimo nella giornata di giovedì, sono poi diminuiti velocemente, a conferma del fatto che gli operatori dei mercati telematici istantanei (come quello importantissimo di Chicago) confidino in una rapida conclusione della crisi.
Non è la prima volta che il mercato agricolo viene colpito da un aumento dei prezzi negli ultimi tempi. In precedenza il settore era stato scosso sia dall’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari sia dall’incremento dei costi dei beni energetici, che attualmente rendono complicata la gestione della filiera. Il grano tenero è passato in pochi mesi da 220 euro alla tonnellata a 320, quello duro da 300 euro a 550 circa. “Non ci aspettiamo che i prezzi diminuiscano nemmeno il prossimo anno. Oramai i prezzi dei fertilizzati e della produzione sono troppo elevati e non scenderanno rapidamente”, confessa Pierantonio Sgambaro, presidente dell’omonimo pastificio.
tra debito e crescita