Escalation energetica
Così l'embargo del petrolio russo può portare la benzina verso i 2,5 euro al litro
Solo gli Stati Uniti e il Regno Unito possono rinunciare al greggio di Mosca. L’Europa ne è troppo dipendente, e lo è ancora di più per quanto riguarda il gas. Le alternative sono poche perché “non c'è capacità produttiva inutilizzata”, dice Tabarelli, presidente di Nomisma Energia
L’invasione russa dell’Ucraina ha causato sin dal suo avvio, giovedì 24 febbraio, molta incertezza a livello economico soprattutto per due motivi. L’attacco è avvenuto in un continente, quello europeo, sempre più disabituato ai conflitti armati ed è stato scatenato da un paese, la Russia, che occupando una posizione centrale nel commercio dei beni energetici, è un partner essenziale per il funzionamento industriale ed economico di moltissime altre nazioni.
Le sanzioni sono state un ulteriore elemento di instabilità per i mercati finanziari, la cui agitazione non cenna a fermarsi. Infatti, a livello politico si discute sempre più frequentemente di un possibile embargo del petrolio russo. “Il prezzo del petrolio al barile continua ad aumentare”, dice Davide Tabarelli, che oltre ad essere professore universitario è presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente. “I prezzi alla pompa non hanno ancora scontato gli aumenti di ieri; quindi, mi aspetto che la benzina vada presto verso i 2,15 euro al litro, dai 2 euro che costa ora. In caso di embargo da parte dei paesi europei, non oso pensare dove possa andare il prezzo.”
Attualmente il prezzo di un barile di petrolio oscilla tra i 128 e i 130 dollari. Nel luglio del 2008, il prezzo di un barile di petrolio raggiunse il massimo storico di 147,5 dollari. “Ci stiamo avvicinando a quel livello, nemmeno troppo rapidamente”, confessa Tabarelli, secondo cui non sarebbe una buona idea bloccare gli acquisti di petrolio a livello europeo. “L’embargo - spiega Tabarelli - è un'ipotesi ancora un po’ lontana perché fa troppo male a noi. Facendo un’analisi prettamente economica, un eventuale embargo porterebbe il prezzo a 200 dollari al barile, e quindi alla pompa il prezzo andrebbe a 2,5 euro al litro. Un livello distruttivo per l’attività di molti settori industriali. E questo è solo un auspicio perché ulteriori aumenti non sono da escludere”.
È sufficiente guardare l’andamento del prezzo del gas per comprendere la volatilità dei beni energetici. “Indicativamente, il livello del prezzo del gas un anno fa era sotto i 20 euro per Megawattora, oggi è salito a 200 euro, qualche giorno fa si era impennato a 300. Un anno fa il barile di petrolio costava 50 dollari, se salisse in modo simile al gas non potremmo nemmeno immaginare le conseguenze”. Solo da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il prezzo del petrolio Brent (una delle due tipologie di petrolio che funge da riferimento internazionale) è aumentato del 36 per cento. “Inoltre l’embargo influenzerebbe anche il gas, il cui prezzo sarebbe probabilmente raddoppiato già dalle bollette di luglio.”
A spingere per l’embargo sono soprattutto Stati Uniti, che lo hanno annunciato nel pomeriggio di martedì e riguarderà tutti i beni energetici russi, e il Regno Unito, il cui governo ha detto che eliminerà l’uso di petrolio russo entro la fine dell’anno. La quantità di petrolio che essi importano dalla Russia è molto ridotta, rispettivamente l’8 e il 2 per cento, e possono quindi permettersi un gesto di tale forza politica. Anche se non senza costi: il prezzo del petrolio negli Usa ha superato proprio martedì il livello dei 4 dollari a gallone - un gallone vale circa 4,5 litri – ed è possibile che la decisione di isolare la Russia produca un ulteriore aumento a livello globale. Dato che il prezzo della benzina è un importante aspetto nella politica interna americana, è significativo che Biden l’abbia sacrificata per contrastare Putin e condannare la sua scelta di invadere l’Ucraina.
I paesi europei, specialmente la Germania, sono più cauti sull’embargo perché essi dipendono molto dal petrolio russo, che finisce per il 60 per cento del totale in Europa, e moltissimo dal gas russo. Solo l'Italia importa il 40 per cento del proprio fabbisogno di gas dalla Russia. Il timore è che quindi la Russia possa rispondere fermando il flusso di gas. E si tratta di un timore piuttosto concreto perché il governo russo ha dichiarato martedì che in caso di embargo bloccherebbe il gasdotto Nord Stream 1. Gli Stati membri dell’Ue discuteranno di come ridurre la propria dipendenza dalla Russia nell’importante Consiglio Europeo che si terrà giovedì e venerdì a Versailles, partendo dalle nuove proposte della Commissione europea.
Pochi giorni fa, gli Stati Uniti hanno anche scelto di utilizzare nuovamente le proprie riserve strategiche di petrolio per cercare di stabilizzarne il prezzo. Sono stati così inseriti nel mercato 30 milioni di barili, i cui effetti però non si sono ancora concretizzati. La stessa decisione era stata presa a novembre (50 milioni) per compensare gli squilibri tra domanda e offerta legati dalla ripresa economica.
In questo momento è particolarmente complicato bloccare gli aumenti del prezzo del petrolio perché si sono uniti due elementi insoliti ed imprevedibili: la ripartenza industriale post pandemica e l’invasione militare russa. Poco altro può essere fatto, secondo Tabarelli, perchè “non c’è capacità produttiva inutilizzata da parte del mercato petrolifero internazionale, tantomeno da parte dell’Opec. In breve tempo non c’è alcun modo di produrre più petrolio. Per molti paesi se venisse anche a mancare il contributo della Russia sarebbe un problema.”
Tuttavia, il petrolio russo già risente di un embargo non ufficiale. Le sanzioni imposte da Stati Uniti ed Europa rendono molto complicato eseguire transizioni con banche russe. Ma soprattutto molte aziende temono un danno reputazionale qualora si venisse a sapere che hanno rapporti commerciali con la Russia, come successo per Shell. Dopo la notizia che aveva acquistato una grossa quantità di petrolio dalla Russia, la società britannica ha dovuto prontamente chiarire che interromperà gradualmente le operazioni commerciali con la Russia.
L’aumento del costo del petrolio sta già umentando le difficoltà per vari settori industriali anche in Italia. Tra i più colpiti ci sono gli autotrasportatori, gli agricoltori e gli allevatori, che utilizzano il gasolio agricolo, un derivato del petrolio, sia per muovere i trattori sia per l’operatività delle stalle, e anche i pescatori, molti dei quali hanno aderito allo sciopero deciso da Associazione produttori Pesca perché il costo del carburante per i pescherecci non rende più profittevole l’attività.